si guardò intorno con minuzia
con l’intenzione esplicita di far caso ai particolari
sul tavolo un mazzo di chiavi un cavo un evidenziatore un bicchiere
sul divano -la fodera blu logora e antica- un paio di cuffie bianche una borsa
sugli scaffali della libreria raccoglitori rossi tutti uguali
la sedia di sguincio tra la cucina e il salore
rossa anch’essa.
inspirò profondamente
contando i secondi che occorrevano affinchè l’aria le giungesse al diaframma.
poi si avvicinò alla porta
girò lentamente il pomello metallico
sfiorò la parete con il polpastrello dell’indice
e uscì.
l’ansimare lieve dell’insoddisfazione cova nell’anima come un mostro
le parole polverizzatesi restano sospese come cenere
che la tua bocca socchiusa e turgida è mero esibizionismo
-il senso del possesso che fu prealessandrino-
baratri profondi e spenti
colori diffusi
colori accesi
che le evidenze sono offuscate dalla miopia dei nostri sentimenti
e le paludose condizioni delle nostre aspettative ci ingoiano
ci ingoiano piano.
adesso che sono desueti anche i nostri cuori ci stupiamo di tutto
prendiamo in ostaggio gli oggetti come fossero fossili di vite passate
l’introspezione non è sufficiente a liberarci dal senso di continua oppressione
dovremmo ibernarci e attendere un risveglio migliore.
qualcuno diceva che “la distruzione è il supremo atto creativo”
che costruire stanca e diventa estremamente banale
e poi, a pensarci bene, l’entropia dell’Universo non farà altro che aumentare e non ci è data la possibilità di fermarla.
chissà che la decomposizione delle nostre identità in pezzetti piccolissimi ed inscindibili dalla natura non sia il modo migliore per ritrovarci.
che poi in Calabria non abbiamo altro che mare e sogni e un filosofomatematico morto da qualche lustro
che non potresti neanche ricordare il nome dell’ultimo luogo arido che hai visto
che la gente sorride e urla e ti sembra di essere in un paese del secondo dopoguerra, immobile nei suoi pregiudizi, nelle sue scale sociali più o meno relative
che il sapore del mare resta sulla pelle e non va via.
lo stame della vita ci avviluppa e ci soffoca
impariamo a conservare la nostra anima nella paraffina per non decomporci
che se anche ci tagliassero a pezzetti non resterebbe che sangue sparso
e terra bruciata tutta uguale a se stessa.