gasparecido

écriture fine, résistante à l'eau et à la lumière.


08
Nov
2010

caffè

Due colpi ben assestati. L’acqua corre nella serpentina, affonda un tot di bar, sprofonda e si fa infondere. Anni e anni lo stesso sfrigolio, cento, mille e più volte, ma ancora sorrido. Due dita e mezzo di perfezione. Sarò pignolo. Sono sempre rimasto affascinato da quel rapido movimento, quello di far ruotare la tazzina in maniera tale che il manico risulti rivolto verso la destra del presente. Centottanta gradi e silenzioso l’angolo si chiude, tac. Prego a lei.
Ora lascia che le narici siano i tuoi occhi
Non sbirciare
Allunga due dita e afferra a caso una bustina
Anzi
Prendi proprio quella
Strappane un angolo e vuotala
Manciate di cristalli piovono dall’alto
Si adagiano
Galleggiano
poi tentennano e scompaiono
Agita
Agita ancora
Agita e agitati.
Emozionati e calmati.
Ma in realtà è solo un sfizio, il disgusto lontano, la necessità velata. Filosofeggiare su un gesto quotidiano.. il senso è tutt’altro: cercalo fra me e te e l’uomo di Vitruvio che ci unisce.
Ho bisogno di scrutare i tuoi occhi, inventarmi mille storie. Contrapporre il massimo riserbo alla tua piena fiducia. Fiducia nel mio essere scontroso, o nel mio caffè che sai di essere il migliore.
O magari questo ti irrita, o forse non ci pensi. Mi sento minuscolo, mentre travestito da tazzina, piattino e cucchiaino, gravito fra pensieri e parole preziose, fra accadimenti e persone che nel vorticare collidono senza raggiungere mai la tua attenzione. E non importa quante misure io tracci, o quanta accortezza ci metta nel riempire la doccetta della mia San Marco, nulla annullerà l’ineluttabilità del tuo sguardo, quando il giudizio sul mio essere adatto o meno a questo lavoro così aulico, continuerà ad aleggiare cattivo in questo spazio così stretto. Riconoscilo, senti l’aroma della socialità; per renderlo così invitante seleziono personalmente pregiate miscele popolari, da dosare e poi scomporre in tante nicchie eterogenee.
E mi diverto, ma tu, così insipidamente normale, uguale a tanti altri, continui ad essere la cosa più importante che ho. Forse il vero motivo per cui sono ancora qui dietro.
Ho bisogno di scrutare i tuoi occhi, inventarmi mille storie, tirare ad indovinare. E poi uscire la sera, camminare per ore, oltrepassare la linea di confine che ci divide, per vestire i tuoi panni ed ordinare “Un caffè, per favore”.

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17
Ott
2010

coodividila

Sono giorni e giorni che lascio ditate sul vetro della bolla che ti ho costruito intorno è un po’ che non ci alito più contro ti mostro il culo ma tu guardi sempre giù da quando ho iniziato a non guardarti.

Sono tutti uguali non tento neanche più di costruirmi una maschera non ne vedo l’utilità a cosa mi servirebbe tanto mi sento davvero io personaggio a colori in un film in bianco e nero come alle feste quando non conosco nessuno mi sembrano quasi tutti un po’ scemi che rido impacciata complimentandomi del buffet ma non mi sento in imbarazzo è inevitabile mi viene spontaneo cavolo è che ormai è automatico però se potessi osservarmi dal soffitto mentre ho quella risatina nervosetta così ridicola direi cioè ma ti sei vista sfigata che idiota penso che se ci fossi tu sarebbe tutto più semplice mi sentirei leggera vezzosa anche forse un po’ invidiata allora si che sarebbe festa ma alla fine non me ne frega niente sono fatta così anche con gli altri ragazzi tipo quella volta che davo la colpa alla vodka ma io non mi sentivo ubriaca dio se stavo bene giuro stavo davvero per farlo ma ero troppo impegnata a ripetermi io queste cose non le faccio e continuavo a vedere tante persone che mi guardavano e mi fissavano li immaginavo seriamente e con calma a dire ad alta voce e senza nessuna espressione in faccia che certe cose non le avrebbero mai fatte è inquietante a pensarci forse non sto troppo bene ultimamente è possibile che a certe cose penso solo io cioè ma se tutto fosse invenzione dell’uomo se fossi nata da sola in preda all’istinto senza nient’altro vaffanculo senza il buoncostume e i preconcetti la religione che ne so senza tutti i ruoli già stabiliti esisterebbero l’affetto, l’amicizia, l’amore che poi qual è la loro definizione non sono tutti sentimenti come si fa a dire che uno è migliore di un altro e tutto quello che c’è in mezzo dove lo metti o chiaro o scuro che odio quelle cretine quando mi chiedono ma siete solo amici o c’è qualcosa di più qualcosa di più solo perché è un maschio ma se si trattasse di una donna quale sarebbe il limite minimo per sospettare che io sia lesbica o qualcos’altro di strano siete stupide meglio chiamarla voglia di scopare a questo punto e pure se fosse vorrei tornare a quando avevo tredici anni per tipo toccarmi e non sentire quel lontano senso di colpa di tristezza sentirmi bene sul serio quando non conoscevo nulla del mondo allora si che avrei potuto amare già innamorarmi forse anche prima di incontrarti tu non immagini quanto mi piaci continuo a ripetermelo e più ci penso più ne ho paura forse significa proprio questo amore oh ma cristo basta mi faccio troppe paranoie.

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26
Set
2010

De-essing check

Butta il mestolo e succhia il mio punch, troppe lingue assaporano le mie dita, come su un piano fanno scale, viaggiano in skate oppure in mono e non volano. Da una nuvola all’altra tramite ponte levatoio l’avvoltoio non mi calcola e vola. Di schiena mentre si lava plana verso il castello in aria e si gratta. Non atterra, sospeso pranza e banchetta, alletta la corte da finto menestrello, spiega valori e valute, lui è un buon avvoltoio si dicono in tante, mentre riprendono a mangiare, mentre riprende il volo nella notte. L’avvoltoio sogna biondi ricci, va e viene nel sonno, nel volo, nel cielo aspro del suo regno, finché non è giorno. Il suo regno trae sostegno dal didentro, fermo su estensioni aerobiche in danza; un fiammifero fiero del suo ego non avrebbe tempo di diffondere il suo effetto, brucerebbe troppo presto. Attraccandosi con rabbia a un lembo del suo vedo, il rapace fissa l’estremo del suo centro e vi parla. A cospetto di stupidi cerini, nebulizzando invidia mista a bolo alimenta l’odio mentendo sull’assenza di alcol. Pichi sfasati verso l’alto deglutiscono l’alito del finto falco e riflettono, riaccendono, illuminano nell’attimo il tempo del gran capo.

Seguendo moti parabolici infetti da qualunquismo precoce, lapilli sostituiti a proiettili muoiono impattandosi sulla polvere pirica che sporca il mio dorso. Destandomi attendo che rientri in circolo la riscrivibilità dell’inconscio e pompando disattenzione alla memoria, scarica da ore, dreno la banalità superficiale del distante per incrinare le labbra liete fra le guance inamidate. Altro mi sfugge, l’annuncio della fine è coperto dal rumore dell’acqua che scorre tiepida sulle dita; le mie dita che preferiscono raschiare cibo dai piatti, insaponare forchette, lucidare cristalli.

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