26
Mag
2011

Terrestri

“È un vero peccato che il caldo bruci la gioia di un cielo così limpido. Lo stavo aspettando da mesi, e mesi; all’ombra di una tenda grigia di freddo pioggia e stoffa acrilica, a coprire un cielo bianco elettrico. Tensione.
Questo cielo mi esalta ma questo caldo mi stronca. Mi fa colare giù per la schiena ogni goccia d’energia. Mi ritrovo schiantata a terra, alla ricerca del sollievo in un giorno che guardato dalla finestra sarebbe invece di per sè così lieve.
La stagione degli amori è passata, e chi non ha avuto fiori non farà frutti. In macchina con Sara insultiamo l’insegnante, deridiamo tutto il suo cipiglio, le sue teorie mistiche che a lezione sembrano così importanti, così pesanti da schiacciarci, sotto l’enormità di qualcosa che è così semplice da essere quasi niente, come la spontaneità; e che poi viene intessuto di mille teorie e proposte e conoscenze e presupposti e apparenze e pratiche e opinioni e impressioni e lucidato d’orgoglio e superbia della macchinazione. Tutto il tendaggio pesante, l’arazzo della sua immagine crolla, sotto il suo stesso onere; lui resta una personcina nuda e ridicola che corre tra i nostri discorsi urlando e saltando a ogni puntura, reso sempre più piccolo da una sincera risata.

 

Gli animali ridono? Il mostrare i denti è simbolo di aggressività. La risata nell’uomo nasce dall’aggressività trasposta in scherno, come un ridere di, un mostrarsi superiore a qualcuno o qualcosa. Prendere il sopravvento.

Poi a lezione l’aria torna piatta e il mio stomaco è più leggero. Svuoto la mente e non ci penso, prendo la mia sedia, è estate ormai e non so come farò a sopravviverle, ma sicuramente i giorni andranno avanti, e di questo sono certa.
Sono la massaia che riempie le ore. La massaia della mia vita, la cameriera del mondo.
Poi arriva la sera e si alza il vento. È calmo, freddo. Adoro la luna di queste sere. Adoro andarci in contro mentre vado verso casa, come se potessi tornare alla luna. Ma la luna piano piano sparisce dietro mille case, mille storie, mille città.

 

Le prime volte che viaggiavo di notte non riuscivo a prendere sonno, guardavo l’infinità di luci blu e bianche che mitragliavano la vallata oltre le barriere, e mi si contorcevano le viscere; vedevo una casa più vicina e smaniavo per poter entrarci dentro, guardare almeno dalla finestra: chi c’era? cosa faceva? Perchè scorreva via da me senza nemmeno aver avuto il tempo di annusare l’aria che ci lasciavamo dietro… E quante persone, quante, mi sarebbero interessate; quante avrei odiato, da quante avrei imparato…. era tutto lì, cavolo, era tutto lì, in quelle enormi vallate di luci!
Poi il tempo è passato, ora delle notti in autobus mi porto dietro solo un gran mal di schiena.

Mi mancano i nostri discorsi, i tuoi sguardi che mi bucavano l’anima. Mi manca quel silenzio che in questo silenzio non troverò mai. Mi manca quel vento che è passato via portandosi le nostre parole su fino allo spazio aperto.
Non voglio più che il vento mi porti via qualcosa di importante. Ma sento questo vento che mi porta via il sudore e mi lascia il suo gelo, e capisco che non potrò resistere a lungo triste, sotto un cielo così azzurro.

Vorrei soffiare il vento, vorrei piangere la pioggia. Ma ormai sono una donna.”

 

-Ecco come trasformarlo in un racconto-, disse Anita chiudendo la lettera.

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{2 Responses to “Terrestri”}

  1. cazzo. è questo che io intendo per
    scrivere
    se anita trova quel che le manca

    non farà un soldo perchè scriverà come solo lei scrive
    ma io l’adorerò

  2. che dire…
    splendido!!! 😉

    micaos

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