21
Set
2010

povera Sally

VAFFANCULO FOTTUTO BASTARDO APRI QUEL CAZZO DI SACCHETTO E DAMMI DA MANGIARE.

Come scusa?

Guardò il barboncino che scodinzolava come un cerebroleso davanti alla ciotola vuota, con quello stupido fiocchetto rosa che gli aveva piazzato in testa Sally; e si disse che sì, doveva proprio essere impazzito.
Quell’aborto di cane lo guardava con i suoi occhi da schizzato semicoperti da riccioli bianchi. Con la sua stupida codina frenetica. Con le sue stupide zampette vaporose. Il suo stupido culo ancheggiante.
Mentre versava mezzo sacchetto di tacchino spappolato, vide le sue mani screpolate, che sembravano fatte di creta essiccata; grezze, ruvide, spaccate. Erano così belle, un paio di anni fa, così lisce e delicate. Quando suonava il piano. Quando la lavorava, la creta.
Crystal ingurgitava la merenda masticando con dei piccoli guaiti ansimati, che pareva un porco nano castrato più che quel gran cane di razza quale cercava di presentarsi o di essere presentato.
Crystal. Un nome di merda per un cane di merda.
Rimase in piedi osservando il barboncino che mangiava, incantandosi sulla medaglietta a forma d’osso che scampanellava impazzita. Crystal. E Sally. E la villetta fuori città. L’arredamento in mogano. Le statue di gesso per il giardino. Il giardino!
Si girò verso il salone, vuoto, silenzioso, dall’atmosfera rosso inglese. Guardò il Jack Daniel’s capovolto nel distributore di liquori accanto al camino. Il rumore dei tacchetti delle sue scarpe riempì la stanza con un leggero rimbombo. Tirò fuori la bottiglia e si voltò furtivo verso la porta, per un riflesso abituale del tipo “c’è sempre qualcuno che vede quello che stai facendo, e per quando non c’è nessuno è stato inventato dio”. Ma la casa era vuota e poteva stare “tranquillo”, per quel poco che oramai gli riusciva.

Quando risistemò la bottiglia era già buio pesto e lui non riusciva a distnguere le lancette dall’orologio, e sì che era bello grosso, che l’avevano pagato bei quattrini ma che importava, pagava daddy Leonard, e poi stava così così bene nella cucina con le piastrelle turchesi!
Che importava, si disse; Sally e la strega tornavano all’inizio della prossima settimana, ed eravamo appena a sabato, o domenica, o allo spazio vuoto tra il sabato e la domenica che ti risucchia nell’oblio. Aveva ancora tutto il tempo di recuperare gli unici due suoi jeans – da “lavoro”- nell’ultimo cassetto dell’armadio, tre maglioni e una decina di magliette, buttare tutto nello zaino da campeggio che aveva nascosto in cima all’appendiabiti nella cabina armadio (non si sa per quale strano principio della dinamica sia riuscito a recuperarlo in piedi su uno sgabello da bar, conciato com’era), fare incetta di qualche provvista… cazzo. Davvero poco verosimile una vita on the road mangiando crostini di kamut, marroni glassati e pane sardo. Si orientò verso lo scatolame. Dopo quante lattine di piselli al vapore si muore?
“Tutto quello che mi serve.”. “TUTTO – QUELLO – CHE – MI – SERVE!!!!”. Rideva quasi piangendo, emozionato come un bambino e felice come una sposa all’altare.
Aveva ancora il tempo di lasciare a Crystal la sua camera, invitandolo ad accomodarsi con un calcio debole ma ben assestato, e chiudendolo dentro. Il cibo, disseminato a dovere sul copriletto matrimoniale e nella cabina armadio, avrebbe catalizzato il processo di distruzione dei tessuti e dell’ordine che era connaturato a quel soffice mostriciattolo.
Uscì chiudendosi la porta alle spalle, senza prendere le chiavi; nel portafogli i suoi documenti, il suo libretto di risparmi e il suo ultimo stipendio. Era già troppo.

Povera Sally, le sarebbe venuta una crisi isterica. Se mai fosse tornata.

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