12
Ott
2010

mattine d’autunno

Il giorno aveva sollevato una coltre brumosa di polvere, sospesa sui tetti delle case lontane nell’orizzonte. L’azzurro del mattino era gelido. Veronica respirava l’aria fredda lentamente, nella penombra di una panchina, attraverso la sciarpa di lana grigia; osservando a occhi stretti quella lontana foschia. Spostò lo sguardo sul rosso inglese delle sue unghie smaltate di fresco. Il sole cominciava a scintillare sulle grondaie e a colorare il vialetto col giallo acido delle prime foglie morte, e sotto gli aceri si frammentava in mille scheggie di un verde pungente.
Veronica fece scorrere piano la cerniera della borsa, quasi incantata dal meccanismo, che strappava il silenzio dell’alba. Indagò i pacchetti di sigarette scorrendoli con due dita, indugiò sulle Diana, accarezzandone il coperchio; poi si spostò decisa sulle Winston Blu, sollevò la scatolina, tirò fuori una sigaretta e la portò alle labbra. Richiuse la confezione e ripose la borsa sulla panchina con un’accuratezza nervosamente morbosa.
La sigaretta rimase incollata alla sua bocca, mentre cercava l’accendino nella tasca dei jeans. Lo sollevò e lo accostò al viso, piegandosi leggermente in avanti, e raccogliendo i lineamenti in un’espressione un pò corrucciata, che ispirava allo stesso tempo tenerezza e gelo.
Veronica aveva un pacco di sigarette per ogni stato d’animo. Quindici pacchetti da 10 sigarette ciascuno. Perchè il numero di occasioni e stati d’animo è di gran lunga maggiore del numero di volte che se ne ha uno. Era molto matematica, Veronica. Amava le dimostrazioni logiche e la fisica quantistica, quasi quanto amava le sei del mattino.
E le sei di quel mattino avevano portato una strana occasione e uno strano stato d’animo, così che il sapore di quella sigaretta, la sua lunghezza, il suo spessore tra i denti, erano tutti leggermente ed irrimediabilmente stonati; e questo la infastidiva in maniera particolare, come un prurito dell’anima che risveglia un masochismo sopito. Così, l’ansia indefinita che le formicolava nello stomaco dalla sera prima, quando aveva fatto quella scoperta, era sfumata ora in una leggera inebriante eccitazione, che piantava le sue infide radici nel terreno fertile della repressione colpevole.
Veronica aveva ancora il sentore del caffè amaro sulle labbra. Scostò la sigaretta e lo assaporò ad occhi chiusi, espirando il fumo dalle narici. Un passerotto fece crepitare delle foglie con pochi saltelli, riportandola in stato d’allerta; quindi la fissò chinando la testolina, con i suoi piccoli occhi vuoti, e volò via. Veronica portò una mano sulla borsa. Proprio in quel momento sentì il ruggito di tosse rauca di un uomo anziano. Fu un attimo. Veronica, con una velocità ed una precisione meccaniche, tirò fuori la pistola ed esplose due colpi che si piantarono nella fronte e nel torace del vecchio.

Veronica era stata una ragazzina come tante altre, con dei lunghi capelli raccolti in elastici colorati, e un sacco di interessi troppo grandi o troppo piccoli per lei. Certi giorni si sedeva tra il muro e la cassettiera della camera di sua madre, al buio, e pensava a cose tristi, come la morte o l’impossibile. Uno di questi giorni ebbe l’ironia crudele di coincidere con uno di quei giorni in cui lo strozzino con cui si era infognato il suo defunto padre faceva visita alla sua vivente madre.
Nei tempi migliori che a stento seguirono, i ricordi di Veronica furono progressivamente ammortati in un sonno sintetico, le sue sensazioni scambiate con pillole dai colori vivaci.
Ma l’uomo non dimentica. L’uomo archivia. Dimenticare è solo un chiudere la chiave nel cassetto. Ma se è vero che esiste l’incoscienza, è vero anche che possiamo nascondere a noi stessi molte cose. A maggior ragione, una chiave immaginaria.

Veronica si alzò con calma e gli si avvicinò, fino a sfiorare la sua giacca con la punta delle scarpe. Il sangue iniziava a rigare le giunture dei mattoncini. Lei lo guardò senza espressione. Lasciò cadere la pistola, che con un tonfo gli si posò accanto al gomito, rimasto flesso. Si voltò, ripiegando con attenzione il fazzoletto di stoffa azzurra che aveva avvolto l’impugnatura; lo infilò nella borsa facendo spazio tra i libri e richiuse la cerniera con un gesto secco, mentre già si allontanava. Veronica non era nè triste nè felice. Magari avrebbe anche aborrato la violenza, in un’altra vita. In questa, le era stata imposta.

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{3 Responses to “mattine d’autunno”}

  1. piovaschi
  2. leggere ciò che scrivi fa pensare al fatto che in fondo la vita non fa così schifo come penso di solito..

    frah
  3. Veronica e’ una come tanti, che sanno dentro una cella per trent’anni.Non so se e’ giusto o meno.Non so se la storia e’ originale ma e’ scritto alla grande ,come sempre.

    unisonosuono

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