24
Ott
2010

L’ira

Il cane gli si avvicinò superando la tenda mossa dal vento bianca come la luce del primo pomeriggio. Era seduto composto, si girò – la bestia gli era affianco – gli occhi in quelli dell’animale. Il cane si alzò sulle zampe posteriori e divenne una donna, i capelli come il manto fulvo dell’animale che era stata; non aveva peli tranne dove chiunque si aspetterebbe di trovarli e non disse una parola. Egli si alzò, distogliendo lo sguardo da quel desiderio incarnato e in un’altra stanza prese un bicchiere colmo d’acqua. Bevve. Alla sera la donna era ancora lì, egli evitava i suoi occhi e di lì a poco la notte avvolse il tutto, sconoscendo il mondo.
La donna aveva unghie lunghe e nere, ma non erano laccate, forse gocciolavano sangue immaginario; i denti erano scuri, appuntiti come una notte gelida. Pensò che la donna volesse ucciderlo e non si capacitava che un cane fosse riuscito ad entrare da una finestra del terzo piano.
La donna-cane sembrava non respirasse. Era discreta fino alla virtù e avrebbe svolto il suo compito con la dedizione di un boia.
“E’ forse il diavolo?” si chiese mentalmente, rimanendo nell’altra stanza.
Arrivò l’alba e l’uomo si addormentò composto su una sedia nonostante la paura, senza accertarsi se la bestia fosse ancora una donna o se fosse tornata ad essere un cane: era indeciso di chi avere più timore.
Sognò una vicenda del suo passato recente, così come avrebbe voluto che andasse o forse come andò.
Conosceva i capelli e le mani, il viso e le labbra di quella donna che ancora stava nel suo salotto. La conosceva benissimo, ma non l’aveva mai vista nuda; bussò ad una porta con un battaglio con Orfeo scolpito su. Venne ad aprire una vecchia donna, vestita di bianco come la luce del primo pomeriggio. Lo condusse in una sala dove sedette su una poltrona di vimini e rifiutò da bere. Era nervoso e si accese l’ultima sigaretta di un pacchetto che aveva comprato due ore prima. Non si rese conto che era ormai vuoto.
La donna entrò. Era bellissima, con l’aria solenne e stanca di chi conosce già i termini della discussione, il tono di supplica e la dichiarazione finale: ma l’uomo non se ne avvide perché per queste cose era cieco.
Quando uscì dalla casa, mezz’ora dopo, incontrò un vecchio cane bruno, un randagio dal manto fulvo che lo guardò con la pietà del mondo e l’incomprensione del giudice che emetterà sentenza. La sua camicia era insanguinata, la stessa che aveva ancora indosso quando all’oscuro si addormentò composto sulla sedia; tentò di nasconderla chiudendosi la giacca, ma il cane, pensò, lo aveva visto e avrebbe parlato.
Scappò a casa con gli occhi dell’animale nei suoi occhi e si rinchiuse, vicino ad una tenda mossa dal vento, davanti ad un tavolo. Voleva fumare, ma era impossibile. Attendeva la visione della sua colpa.

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{4 Responses to “L’ira”}

  1. piovaschi non delude mai.

    scarlattina blu
  2. unisonosuono
  3. ancora non avevo letto.. similitudini vero..

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