06
Nov
2010

“Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale!”

“Da dove partiamo? Cancelliamo Roma?”
Dentro il lungo camice bianco c’era un uomo. Si direbbe sulla quarantina portati male, alto, calvo,  con occhiali spessi, di una magrezza spettrale. La barba bianca e ispida era presa di mira da mani rugose, si direbbe di un agricoltore,  un tic nervoso e fastidioso. Un piccolo fazzoletto bianco ricamato veniva portato ripetutamente ai lati della bocca.

July non sapeva bene quello che stava succedendo. Il lettino era freddo, scomodo e il tremolio ansiogeno rendeva tutto inappropriato. Il dottor Michel Mierzwiak le reggeva il braccio,  guardandola senza espressione mentre cercava di tranquillizzarla con una dose di valium direttamente in vena.

“ Lei intende dire, iniziamo a cancellare proprio dal principio…”

“ Possiamo partire dalla fine e andare a ritroso,  ma la avverto è più doloroso e pericoloso.”

Ci penso un attimo. Intanto le immagini delle città, dei volti, iniziavano a svanire e a confondersi in vortici d’aria che partivano da nuvole scure e diventavano onde trasparenti che coprivano la luce. Doveva cancellare tutto. Necessario.

July era all’angolo delle due torri. Al semaforo, dalla parte dell’edicola. Aspettava il momento in cui ognuno di solito cerca una traiettoria diversa per evitare uno scontro frontale. Persone varie, bionde alte e nordiche, ragazzi con il sudore da palestra come soprabito, studenti con occhiali e cappottino a coste, straniere con la jota, mamme con ricrescita visibile e vecchina con deambulatore. Un gruppo di ragazzi distribuiva informazioni sull’ultima frontiera della neuro-scienza. Era troppo caldo per essere un weekend di dicembre.

Mentre le serviva una birra, lui notò la scollatura della cameriera. Le passò un fazzoletto con qualcosa di scritto e lei sorrise. Si, lei sorrise, ma non di un sorriso normale, o di circostanza, neanche uno di quelli da sfoderare amabilmente dopo una battuta infelice. Era un sorriso malizioso. Da intendere come, ci vediamo dopo se vuoi, abito non lontano da qui. Poi, un sorriso normale, non significa niente.

Lei lo vide dalla vetrata. Pensò che i primi mesi invernali non sono mai positivi per un segno come il suo. Forse in quel preciso momento iniziò a dubitare di lui.

Lui telefonava a lei dicendogli che poteva andare a trovarlo se voleva. “Però ti prego, non usciamo fa troppo freddo fuori.” Così tutti i lunedì e i giovedì.

Per questo motivo July, il martedì e il venerdì piangeva e si lasciava toccare dalle mani scure di nonmiricordoilnomemacredosiastraniero. Il motel puzzava terribilmente di stanza ad ore, ma lei vibrava di piacere tra quelle lenzuola sfatte e non lavate.

Lui era di spalle.
Non c’è molto da fare quando si aspetta. Si può passeggiare, su e giù, avanti e indietro. Intrattenere passanti o discorsi filosofici con i piccioni. Quelli di Piazza San Francesco. Si possono creare dei mondi dove arrampicarsi sul cielo e iniziare a correre sulla nebbia, dove le case sono appese ad un filo sottile trasparente. Si possono creare castelli di sabbia e di rabbia. Si possono srotolare e arrotolare km di strade di lana.

C’è chi ha iniziato a fumare e ha anche smesso. Tutto nell’attimo infinito dell’attesa.

Lui sembrava aspettarla. Sorrideva ma non parlava.
”Il silenzio e’ ciò che più ci unisce. Nella distanza, anche se tu urlassi crederei nella distorsione delle onde, piuttosto. Quando fai sentire la tua assenza credo che la stanza sia comunque piena di persone.  E tutte parlano una lingua che non conosco.”

July era appoggiata al muro con un bicchiere in mano, la musica alta rimbombava di bassi nel petto. Non sentiva più le sue amiche parlare e la fila al bancone era di nuovo troppo affollata. La voce di Nada si appoggiava bene alla coppia di bei ragazzi di fronte a lei. Si incrociarono. “Vieni a salutarmi e hai un mantello e un cilindro”.

Vorrei portarti a casa con me. Dopo la musica, dopo il bicchiere. Sarebbe splendido.

July era appoggiata al muro con un bicchiere in mano, la musica alta rimbombava di bassi nel petto. Non sentiva più le sue amiche parlare e la fila al bancone era di nuovo troppo affollata. La voce di Nada si appoggiava bene alla coppia di bei ragazzi di fronte a lei. Stasera sembra non esserci nessuno di interessante.

“Tutto bene?” le disse il dottore.

“si certo, ma lei chi è?”

July non sapeva dove, ma soprattutto come, era finita in una stanza probabilmente di ospedale. Tra lo sconcerto e la confusione aveva però una gran leggerezza addosso e un motivetto allegro per la testa.

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{3 Responses to ““Com’è felice il destino dell’incolpevole vestale!””}

  1. Posso dire una cosa??? Non ci ho capito niente… Quindi credo di aver capito tutto.
    E sono Serio.

  2. e invece hai capito tutto….
    🙂

    scarlattina blu

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