02
Mar
2011

impression, soleil levant

Proviamo così, facciamo così, si disse facendo schioccare la lingua. Facciamo che butto fuori tutto, così, un colpo d’aria, come un conato o coito che dir si voglia, battendo le dita forte sui tasti, sentendo il ticchettio come di pioggia meccanica cadere su un foglio bianco che alla fine del rigetto sarà un quadro sporco di R E A L T A’. La realtà. Così lontana, una statua greca di cui non cogli l’ovvia bellezza. Forse potresti amare una venatura del suo marmo, se c’è scappata a uno scultore scialbo. Piano piano la rabbia mi scende come uno sciroppo appiccicoso lungo la spina dorsale, piano piano raggiunge ogni angolo del mio piccolo stupido corpo. Faceva queste stupide ridondanti riflessioni seduta sul divano, con la pancia di fuori, si sentiva quasi un rifiuto, si sentiva quasi il superfluo del mondo, l’organico della casa, roba da concime. Io finirò prima di queste sedie. Questa una delle sue poche certezze. La natura ama più un albero di me; non perchè lo ami davvero ma semplicemente perchè i meno evoluti sono i più longevi, come a dire più sei generico e più sei robusto. Come dire. Come dire che non lo so, come in quelle pubblicità in cui non si sa cosa dire e si piazza un bambino a dire una cosa del tutto insignificante con una vocina da bambino che ci fa sorridere comunque. Sorridere? Ma che squallore. Quanti calci quei bidoni in giro per strada si erano risparmiati, per un castigato triste senso del decoro. Il decoro! L’estetica è quanto di più effimero abbiamo: il concreto è distruttibile, l’astratto che esista o meno è inattaccabile, proprio perchè forse nemmeno esiste. La realtà è dentro di noi!, come dicevano in quel poliziesco che aveva guardato invece di studiare. Quel giorno aveva le palle girate a mille, avrebbe urlato e squartato, avrebbe fatto a pezzi anni di dare del lei e dissimulare delusioni e aspettative, avrebbe gridato al mondo tutto quell’amore che si era risparmiata, tutto quell’odio che non aveva inferto, tutte quelle sofferenze che aveva dato a torto, per sbaglio, per fare del bene che non aveva senso, per dispensare benessere insincero, tranquillità costruita a tavolino, un tavolino calmo, un tavolino piccolo, un tavolino in disparte. Un tavolino di plastica!
La sua bocca era un urlo muto! Muto più delle sue orecchie!! Se solo le coronarie e lo stomaco avessero potuto parlare! Se solo le tempie le fossero esplose! E invece niente! L’adrenalina le serve solo per correre via dalle sue conseguenze! Correre via dalle conseguenze per evitare le azioni: che vita grama, che vita pianificata, così grigia, così perentoria, periodica, precisa, perpendicolare, puntigliosa, penosa. Irriverente! Una vita irriverente nei suoi confronti, come persona e come vita! Una vita che non si rispetta, una vita che non si dà spazio, una vita concava. Fuggire da cosa, poi?
Una volta che mi potevo imporre! Una volta che avevo ragione! Ma avevo veramente ragione? Avrò fatto bene a scappare? Esagero sempre! Non posso evitare di farne una questione di principio, ogni volta?!? E tutte queste pedate, sulla mia fronte? Sai tutti i loro numeri di scarpa e i loro passi, e loro nemmeno sanno il tuo nome, ma che dico nemmeno che esisti, ma che dico nemmeno che pensi! Che sei! Nemmeno cadono se inciampano nella tua carcassa! Un tronco, sei! E peggio di un tronco! Nemmeno gli dai fastidio quando devono costruire un parcheggio sulla tua schiena!

Ma dico, non sei stanca
di non essere mai niente di più

dell’impressione che dai?

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