25
Ago
2011

o son desto

Intorno tutto galleggiava su scaglie di aria e di marmo. I contorni del fuori fuoco erano blu. Le sue palpebre sbattevano come a chiedere aiuto, come a cercare di rianimare quegli occhi sbarrati che parevano palle di cera. Lucidi ma spenti, tondi e fissi, guardavano e non vedevano che oggetti e concetti sparsi per uno spazio che non riusciva a ricomporsi in una stanza. Le porte e i balconi sbattevano all’improvviso, al posto del suo cuore. Un cuore a cardini, una stanza a listelli, gli occhi di cera fissi sul cuscino vuoto, un cuscino rosa lucido, quel rosa che tende al rosso, quel rosa quasi confetto, quel rosa quasi elegante. Il corpo flaccido e rigido teso in un rigore da morto. Ciccia flaccida e muscoli duri.
Un corpo senza un nome ed una mente senza un senso. Delle palpebre impazzite che improvvisano un alfabeto morse di disperazione. L’unica forma di frenetica coscienza.
Poi piano piano si smorza. Nessuno può vederla e lei nessuno può vedere. La resistenza cessa. Piano. Le palpebre si distendono. Rallentano. Piano. A scatti. Intervalli di luce sempre più corti che colpiscono la retina. Come colpi. Colpi leggeri. Colpi di realtà. Come passi. Come porte che sbattono lontano. Col vento. Col sole. Col battito. Sempre meno. Poi più niente. È il sonno. È il buio. Non è più.

Marianna si sveglia a mezzogiorno sul divano bianco della sua casa confetto. Fa caldo. Non ricorda. Apre gli occhi e vede il gatto dormire sul cuscino rosa. Ha la strana sensazione di un’angoscia antica, tamponata dalla tranquillità del sonno del gatto e dall’aria un po’ pigra di quella mattina d’agosto. In casa ogni cosa è al suo posto, nel disordine e nell’ordine. Tutto esattamente com’era. Eppure qualcosa le sfugge, come se non ricordasse. Dove era stata? Quanto aveva dormito? Da quanto era lì?
Una mattinata…
Un giorno…
Una vita…

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{One Response to “o son desto”}

  1. 10. leggerò pure l’altra a breve, quella che mi mandasti

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