Nemo


16
Gen
2021

Se mi consideri morto

Vorrei riavere indietro quel che ho dato. Se mi consideri morto, ricorda che ad uccidere non è stato il treno che ti ha portato qui, né il fremito che ho percepito quella notte quando mi hai detto che al mondo non esiste un posto per chi non ha un luogo in cui sia dolce tramontare.
Forse, il sordo eco di un vecchio, muto, che rammenta in quanta parte il tempo sia stato sprecato in vuote convinzioni che allora ancora avevano un senso, ma che oggi ignora. E lo ignora la sua voce, lo ignora la sua gola, lo ignorano anche queste secche lenzuola che puzzano di te. Ed è un fastidio, il ricordo, quando torna, e rinchiude in una cella la coscienza amara di chi cammina a tentoni tra le vane intenzioni dimentichie delle vecchie credenze. Sono vecchie anche quelle convinzioni, che io quasi non ricordo, in questo rammentare, cosa allora ci mosse.
Certo, a muoverci era un’intenzione, ne ricordo il suono, le fattezze, la presenza, il sapore, il rumore, il suono del non detto che allora aveva un senso, poiché le labbra non avevano bisogno di schiudersi per dare un nome alle cose né per chiedere amore.
Il silenzio aveva un senso, era un volto nel nulla che definiva le fisionomie della città ed inglobava il mondo. Era dentro di me, e di fuori, là dove si cercava una conferma nell’esistere mentre la realtà non era altro che una rappresentazione del nostro idealismo. Adesso, non togliermi il gusto, non dirmi di che morte devo morire, conosco questo male e lo lascio alle tue cure, dal momento che sei già pronto a guardarmi con occhio clinico, e vorresti prender la parola e sciupare questo ultimo silenzio, che non sa di nulla, per dirmi dove sbaglio. Lo lascio all’indicibile, questo vigliacco errore, questo mio amore, ché non se ne fa nulla questo corpo. Non basta a scaldare un cuore, non serve alle mie mani né paga o abbraccia il mondo.
E’ cosi pigro, indifferente, nevrotico, il tram tram delle emozioni, delle sensazioni, passeggiere, ché non fai in tempo ad assaggiarle che già non sanno di niente, ché sono volubili e che banalizzano oltraggiando questo mio silenzio. Così ho deciso.
Solo vorrei riavere indietro quel che ho dato senza che sia a te perduto, perché non ti odio.

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03
Mag
2013

Chi si credono di essere gli intellettuali!?

Quanto tempo riesci a contenere in un ora.
Il passato è lontano ma esiste; allora cosa ti porti dietro?
Cosa scegli di portarti.
L’anima è liquida, mi suda addosso.
Il distacco e….l’avvicinamento come soluzione?
In che verso andare; l’alto o il basso? Vincere!? Contro chi? Non so.
La colpa e i colpevoli, come se esistessero davvero, piccoli e modesti peccatori… gli egoisti, quello che possono, fanno. Deboli e teneri loro.
Come lasciarsi ferire da gente così?
Ed ora l’intellettuale di turno mi osserva. Già lo odio, lui come un albero, sua formica io, e mi fa – vuolsi così colà ciò che si puote come si vuole- ed io capisco, ma non accetto. Così dal monte l’uomo scende e chiama: dice – Io voglio, senza metro,……..il parto…… di una stella che…. …danzi-. ha la bocca cementata così molti ridono di lui mentre mi mette in guardia da un certo drago che tutti vedono tranne il sottoscritto. Difficile,
così col sole riscopro l’alessandrino del millenovecento, una vita spesa a spezzare lance in mio favore- Né i lestrigoni né ciclopi incontrerai, se non te li porti dentro, se l’animo non te li mette contro…
l’animo…
con questo concetto rischio una sorta di avvitamento emotivo. Stupefacente!!!!
Bacco sorride alla mia ingenuità.
Caro Apollo, avrei dovuto assecondarti e invece ho raccolto la tua antipatia, poi l’ho fatta mia. Agamennone è uno sbruffone.
Fosse stato a Waterlloo avrebbe perso anche lui,
Ora in preda al suo cinismo Napoleone sfinisce a morte Macchiavelli, si rimproverano ambedue i loro vizzi.
Egocentrico, taccia gli altri ragazzi alla pari il De Medici all’apice della sua frustrazione; con le loro commedie fanno la storia……misera. Del domani è la sola cosa certa.
Sanno giocare a schacchi i generali, ma perdono a carte ed è sempre lo stesso zingaro a fargli le scarpe.
Questo la storia non lo dice, né tantomeno dice che il 25 ero a Montesole, a ricordare la resistenza. ché ci sono arrivato con una costoletta di figli di nessuno “per ora”, zingari, e abbiamo “guadato” il Reno per due chilometri e mezzo, altro fiume al fiume, poi montagne, e calchi di rocce, e sassi, e fango, terra! Poi Sole, vino, freddo e notte. Così ti ho pensato, ma questo nessuno lo sa.
Non diranno che un tempo ci siamo incrociati, né che la luna era più grande che mai in questi giorni, semplicemente ricorderanno una certa eclissi.
Non sapranno mai che ci siamo incontrati.
Semplicemente, noteranno una certa alchimia tra me e il cielo, tra me e il mare…nessuna spiegazione per loro. Essi immagineranno esattamente come Manzoni i nostri ultimi giorni.
Ecco, è questo, l’indicibile. Ciò che vive di sé.
Odio Goethe, i suoi dolori molesti e infantili mi stressano, e Seneca, così ubbidiente alla rassegnazione, amo Lucrezio, la sua indecenza e a furia di leggerlo un giorno gli ho chiesto di sposarmi… e fu sorridendo che mi disse che a un morto l’amore non porta quel che conta…
cercala tra i vivi la vita, ripeteva.
Ed ora che ho allungato i miei capelli, ho segnato la mia mano e mi sono promesso il vivo, ed è  da un po’ di tempo a questa parte, che
quando penso al tempo, lo immagino come una sovrapposizione di diverse linee x, x’, x”, x”’: sono persone, momenti, fatti, che, da persone serie quali siamo io e te, lettore, teniamo a mente e  fanno di noi ciò che siamo.
Ci rendono forti.
Quindi non stupirti quando col sorriso ti strizzo l’occhio!

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18
Mar
2013

Il sottoscritto

Quello che mi fate rimpiangere,
il non avere fatto da me.
Mi fate rimpiangere di non aver mai lanciato una bottiglia, il mio educato contegno,
quello che mi fate rimpiangere è di non essere stato mai il primo a cadere.
Un metodo criminale sa trascinare nel fango,
ebbene,
quello che mi fate rimpiangere è di avervi seguito
quando invece avrei dovuto andare.
È sempre e soltanto la solita parte
quella che alimento
l’uomo garbato e il suo buonsenso.
La mia ingenuità è la stessa di chi alza un estintore,
respira ancora dopo essere caduto da nove metri
si difende dallo stato che anche sul traliccio elettrico
vuole venirgli a raccontare la sua democratica soluzione,
una mattanza di scimmie che, ridono, corrono, scorrono, cibandosi e intanto
stuprandosi i nostri concetti etici.

Schernisce il mio amore chi non sa che fare.

Io intanto
in questo mondo limitato,  ho inseguito un sogno
quando ho incontrato l’autorità competente.
Non credo di piacerle.
Però ch’é buffo,
a vederlo ha l’aspetto di un un goffo e pigro persiano,
il potere,
che ci guarda e si lecca i baffi,
così penso
perché non invadiamo l’Aventino?
Una volta occupato non sapremo che farci,
ma almeno avremo qualcosa da raccontare finalmente anche noi
a tutti quei pezzenti che ci chiedono spicci per strada,

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04
Gen
2013

A Te che vai nel Mondo: Delle origini della mia energia

Per chi sono le mie parole…
per loro sono: gli spiriti liberi,
a loro arriveranno come un atto d’amore.
Sapranno sentirle, dosarle,
ascoltarle, poi utilizzarle e ricorrervi
come un rifugio, un riparo,
quando verrà il freddo della solitudine,
il vuoto,
quell’assenza che chi solo sa conosce.
Ad essi la mia speranza, ad essi la mia solidità;
continuate!!!
Andate, avanti, sempre, anche nel digiuno, anche nell’amaro,
anche nella vostra sola compagnia
sulla via che avete scelto,
intrapreso,
con amore.
Le mie parole:
per chi non ha padroni e per padrone intendo
neanche sé stesso,
così da non detestare la sua sola compagnia.
Per chi trova il piacere di ravvivare una fiamma,
sostare…
e lasciarsi scaldare.
Ad essi do il mio cuore
perché mi nutrono,
così li lascio nutrire
e nutrirsi di me.

*
Ora andate…
O farete tardi!

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13
Ott
2012

Zona Manifattura e Tabacchi

A coprirle i capelli un fazzoletto chiaro, un abito lungo seguiva senza mostrarne il corpo. Scendeva delicato, come il Reno su Bologna, a vestire il suo quartiere: Lame. Viveva del Savena il fossato, deviato a San Ruffillo dalla chiusa. Riesco a contare centodiciannove mulini mossi dalle sue acque. Ancora, l’immagine di questa donna che torna, due operai l’aspettano all’uscita della fabbrica, le buttano acqua ai piedi. La carmencita petroniana tira su di quattro dita il suo abito. Mostra così le caviglie: ride… dei due ingenui ché arrossiscono nel guardarle. Ride di noi la storia , questo raccontare finalizzato, organico, dove tutto si intreccia e ruota attorno a grandi nomi, figure simbolo di un epoca… simboli del potere, il quale si racconta, così ordinato, così legittimo. Estetico. Si giustifica, si incorona riducendo la stessa storia ad un concatenarsi di guerre ed omicidi, un rapporto tra cause ed effetti, interrotta da qualche breve parentesi di scienza e di ragionevole, educata, innovazione. Umano, troppo umano. Quasi deludente. Memoria del passato, memoria del presente, di luoghi, associazioni, immagini e sensazioni come ingressi sporadici al sentiero del ricordo non vissuto. Collettivo. Memoria di vita, di strade, di case, quando ancora il via vai dei lavoratori tranquillizzava il passante. La strada, viva, era sicura. Diranno di aver coperto i canali perché non servivano più. Al loro posto mostre fotografiche, quadretti, disegnini che ricordano quanto erano graziosi quei rivoli sdraiati tra le vie della città. Sotterrati come cadaveri. La Manifattura poi spostata su via Ferrarese, nella Bolognina, oggigiorno chiusa, ospita figli di nessuno, gente dimenticata da tutti tranne che dal freddo. Scavalca i luoghi dell’abbandono la miseria, e lì si sdraia, cercando riparo, riposo, nella notte. Trovo ironico come i suoi muri siano soliti diventare simbolo degli ultimi d’ogni epoca. Scorro qualche titolo di vecchie testate giornalistiche, ci vedo, al di là dei titoli, l’attaccamento al lavoro d’una classe operaia unita nello sciopero, che andava traducendosi in un attaccamento al territorio, nell’esigenza di una sua tutela. Lavoratori come nomadi durante gli sgomberi dei gendarmi. Ora in Via Riva Reno del Mulino resta una cineteca, il Lumiere, mentre del forno del pane un museo, il Mambo. L’hanno chiamata la Manifattura Delle Arti, una bella cosa, ma …in Via Ferrarese, quando arriva l’Estate, dai palazzi di Via Otello Bonvicini è possibile guardare dentro e oltre il muro di cinta della nuova ex tabaccheria in disuso, e vederle vivere queste persone, fatte di carne ed ossa, un miscuglio di etnie accomunate tutte dalla povertà. La storia delle grandi guerre si dimentica di loro. Li sento urlare, ridere, a volte gridare nel gioco. Si svegliano sul tetto di catrame della fabbrica, illuminati dal sole, sdraiati alla brezza della sera, dormono lì. Spesso mi fermo ad osservarli. Così la vedo, questa ex tabaccheria vivere di loro, silenziosa, nei suoi intonaci, scettica nei suoi binari, in disuso, interrotti. Ferma. Misura il tempo e questo nostro scorrere insieme.

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11
Set
2012

Alla notte

Alla notte
Tetto d’un fienile e come paglia  sparsa a terra noi
colpa
il movimento non pensato
né cercato

Fuoco dentro
grattando il fondo dell’essenza sciogliersi
in questo nostro divenire oltre la soglia del taciuto insieme
vicini
nel mentre della nostra fiera esistenza

Vivere
teatrino quotidiano di mercanti e di parole
un ricordare vago
impreciso
essi

dimenticheranno

che sei venuta a ricordarmi il sottostante
il ciò che era al di là del cosa è stato

soltanto bruciando
e nuovamente atterriti
daremo colpa alla notte


sperando
in questa notte


poi nell’alba

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28
Lug
2012

Il Perditempo di Napoli

Barattare un libro con un titolo di viaggio,

usarlo,

ribarattarlo

per un’altro libro e questa volta perdersi

tra le righe di una strada,

in un sorriso intravisto.

Un’altra pagina, ancora un’altra,

prima che alla notte sopraggiunga il sonno.

Svegliarsi,

tornare a leggere, ripartire.

Sempre più distanti,

sempre più vicini.

Gettare l’ancora

e ancora salpare

assaporando gli odori,

nutrendosi di voci e delle loro storie,

sempre più poesia,

sempre più voglia di spendersi,

sporcarsi, trovarsi,

ritornare…a sé.

Incontrarsi davvero,

e per farlo costruire questa strada ideale

verso la quale andare

e ritornare.

E coerentemente sorridere

senza smorfie,

che nulla hai preteso da te stesso

se non il brivido del viaggio e la sua maestra

Libertà

biglietto ad ore

per un libro

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19
Lug
2012

Il delirio di Ilde

Potenzialmente inamovibili, un punto fermo al centro dello spazio,
sorriso acceso, frasi senza suoni.
Condannati al fraintendimento, nella chiarezza la confusione si rivolta, brucia, divampa,
il suo fumo è copertone,
s’attacca alle pareti.

Ricomincio da sopra, e da sotto,
riparto, da questo punto in cui poggio i piedi,
con il compasso traccio un semicerchio
Aperto.
A chi vorrebbe una sfera offro ellissi,  l’allungo all’infinito, imperfetta all’infinito:
sembra una rette, una strada, una vita…una persona.
La percorro tutta, perso tra gli odori inseguo i suoni mentre loro mi guardano.
Agitando le mani cerco tempo, prendo tempo,
troppo distratti da sé, cercano conferme, completezza;
una strada già tracciata su misura… una favola!
Un’illusione.

Concentro materia, lascio indietro i vostri occhi,
i vostri cuori non m’interessano,
non sento il polso non sento…
Dietro le vostre giacche nessuna idea, miliardi di pareti che frantumano.

non prendo niente da voi, faccio da me!
Con indifferenza posiziono le mie pedine tra gioie inaudite e paure cieche, moderne.
Anacronici, il  futuro è qui ed è ora, ma dove scappate?
Di chi sono il vostri nomi?

Ferrara brucia, Ferrara tuona, nessun rumore, nessun occhio che parli italiano racconta…
degli sbirri nel viale, della divisa che si sporca,
ci dimeniamo recalcitranti in un mondo che non sappiamo inventare.
Cani randagi, nufragati per sbaglio in questo mare, gente dispersa,
che col coltello incidete la vostra fortuna, allungando una linea della mano
Frasi senza senso quando tramonta il sole, quando tramonta il sole,
discorsi, parole, amici, intenzioni senza senso.

Ti ammazzan di discorsi quando tramonta il sole

Il delirio di Ilde si fa più audace

Ti rifugi nel  tuo tempo, nel tuo futuro che non ha spazzi, non offre ripari.

Sei al buio, vuoi sognare?
Cerchi un sogno  questa notte?

Un passato tranquillo, una vita discreta, di cui, francamente, nessuno riesce a ricordare,
con che coraggio stringi i tuoi pugni,
sei tu che hai bisogno di un motivo, non io!!!
Sei forse vivo? Ti senti vivo?

Alcuni se lo chiedono… altri no!

Quando ritorna il sole nuove gioie, a volte isteriche, altre  ansiose,
irregolari, frammentate, intraviste,
Rivuoi te stesso, il tuo respiro e

parli di te

come di un qualcosa che
non hai!
che non temo…

che derido.

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16
Mag
2012

Verum Ad Se

Non cambiate per loro.
Hanno sempre da chiedere, sempre da dire, da giustificare.
Devono sempre essere capiti, e allora cercate di capirli e
se non vi trovate, se l’errore non è il vostro, voi…
non cambiate.
Lasciateli all’Io, egotico, fine a sé stesso,
trattenuti da quelle poche, viziate, certezze
a mezzo piede dal tombino.
Non curatevi di loro, ché essi non vi curano, piuttosto…
Andate avanti, fuori da ogni genere di pretesa,
lontani da massacri di, o per, principio.
Chi ha il bisogno di ferire e chi
dell’essere ferito?
Abbandonate il rancore, isolatene il vostro, riduceteli.
Ché il giusto è giusto sempre, mentr’essi solo tra simili.
L’arte del bello è vita.
Pesate al vivere dunque e
se dovete,
cambiate,
ma non per loro!

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07
Mag
2012

Dentro e fuori, come scatole cinesi

La luna buca il cielo squarciandolo col suo bagliore bianco apertosi a Nord-Est della volta celeste.
La terra inumidisce, si bagna lentamente, in quel processo che dura ore, eterno.
Ed è su quel corposo terriccio che l’osservatore si sdraia, stende le mani dietro la nuca, respira, attento come un gatto mentre la sua preda è lì.
Raggiungerla, come trampolino usare la mente, gettandosi in quell’inumano quadro, sua arma l’immaginazione.
La Luna non lo teme, guarda il giovane uomo perdersi nel titanismo del buio, tra i lumini della notte.
È senz’altro la Terra, questo pensa l’essere dietro il vetro della sua cabina, attirato nel gravitare muove verso di lei, porta con sé la sua prima donna: entità, solitudine spartana, priva di regole, ricca d’onori, le tende la mano, contempla il tutto da un girone senza suoni, insieme a Lei
che non ha voce, non tocca, non scalda, nutre e si lascia nutrire.
Il primo osservatore non sa dell’altro, eppure è nella sua direzione che punta quell’indefinibile soffitto, enorme, non si lascia racchiudere. -la mente non lo contiene, non ha spazio per il cielo-, questo si dice il giovanotto, mentre scopre il libero, ed è l’armonia a sciogliergli il guinzaglio.
-Non potrei mai vivere, fuori dal mondo-, continua poi.
Vede solo un cielo e si crede roccia, guarda una luna e si riempie il cuore, al sole, povero ingenuo, si rende conto di non avere gli occhi per vedere, ma è un attimo, basta l’odore dell’immenso, certo è solo un cane che fiuta l’intimo di un’altra bestia, non coglie, non sa.
Sopra il cielo invece la cabina continua a muovere, la cosa là dentro è certo un uomo, solo pensa un po’ più su, costretto in due metri quadri, sua unica feritoia al mondo il vetro, corridoio da cui attinge, osserva: incidenti, traiettorie, punti di contatto, esplodono le stelle, vede luce, muovono i giganti, li rincorre al buio e a tutto quel che non capisce dà amore.
La gravità terrestre cattura la strana ferraglia, attraendola, -se torno sulla Terra sono spacciato ed io non voglio, ho fatto di tutto per lanciarmi, non voglio tornare. Finirei il mio viaggio, ritornerei a guardare il cielo steso su un prato e di questa terrificante bellezza resterebbe solo il ricordo,
ho passato una vita oltre il Cielo. Non posso tornare-
Se è vero che esiste un finale, moriranno entrambi.

Perdetevi senza fretta

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