piovaschi

nel '97 ho visto un fenicottero rosa nella riserva naturale di Punta Aderci e nessuno mi ha mai creduto. nel 2010 un monitor ha cercato di entrare nella mia testa. ho rimediato 3 punti di sutura. il monitor non è sopravvissuto.


19
Ott
2011

Le confessioni

Sono una persona noiosa. Non scopo. Non faccio merenda con il latte, ma con il the. Di notte mi alzo per scrivere stronzate come questa, mi rovino il sonno, ma mi aumenta l’autostima. Non sopporto le persone senza deodorante. Mi dimentico sempre di tirare lo sciacquone. Mi metto sempre due paia di calze. Adoro le date e guardo sempre la luna. Dico a tutti che mi alzo all’alba, ma non mi ricordo l’ultima volta che ne ho vista una. Faccio la raccolta differenziata e sono un sostenitore di Greenpeace, ma sotto sotto sento che l’ecologia è una cazzata. Non credo in Dio. Ho peli nelle orecchie che sembrano capelli. Non mi mangio le unghie, ma qualche volta mi pulisco il naso come se fosse la canna di un fucile. Adoro la tecnologia, ma non impazzisco se non ho l’ultimo modello di… Adoro prendere l’aereo e tutte le volte che decollo penso a Galilei (sì, a lui, non a Leonardo) e piango. Davvero non credo in Dio, e non è la mossa di un ribelle. Mi piace l’architettura, ma non ci capisco un cazzo. Leggo di tutto, dalla Bibbia fino al bugiardino dei farmaci, passando per le etichette dei vestiti, delle bottiglie, delle lattine, delle scatole, ecc. Sono analfabeta in tutte le lingue del mondo tranne l’italiano. Adoro il succo di mirtillo. Mi piace suonare la chitarra, ma a lei non piace essere suonata da me. Ho visto un fenicottero rosa a Punta Aderci e nessuno mi crede. So mentire così bene che non mi ha ancora sgamato nessuno. Amo la letteratura, soprattutto leggerla. Mi piace cucinare. Sono comunista per convenienza perché sono un prodigo. Gioco a scacchi, ma dev’essere un gioco per deficienti perché perdo sempre. Odio la puzza di fumo e il rumore del traffico. Il whisky scozzese è la mia ambrosia. Indosso soltanto biancheria nera. Penso che senza la satira la serietà non servirebbe a niente. Vorrei morire alle sette di sera. Mi diverto con poco non è vero, ma è falso che con tanto è meglio. Mi do la colpa troppo spesso, così per far finta di aver combinato qualcosa. Adoro oziare, ma il mio lavoro mi esalta. Non sopporto le monetine, ma se ci mettessero la mia faccia non mi dispiacerebbe. Mi vesto di canapa. Odio i poveri di spirito e i ricchi: purtroppo spesso coincidono e in questi casi non riesco a odiare il doppio. Non credo in Dio sul serio, perché Dio non esiste e lo so con certezza. Parlare è la cosa che faccio di più dopo respirare e di solito non smetto mai. Scrivo perché non so fare altro. Gli amici sono il modo migliore per sfuggire alla morte e molto spesso alla noia.  Se non ci fossero le donne suppongo che me le inventerei, ma essendo un uomo non mi verrebbero così intelligenti. Non mi annoio mai, soprattutto in compagnia di me stesso. Se dovessi morire mi dispiacerà un bel po’, ma sicuramente dispiacerà più a voi. Non posseggo gioielli. Posseggo un sacco di libri e molto spesso mi posseggono. Mi piace lavarmi. Adoro il mare e non sono mai stato in montagna. Non credo in civiltà extraterrestri, e se anche esistessero noi non saremmo meno delle teste di cazzo. Amo una donna alla volta e quando faccio l’amore cerco di farlo con lei e non con me stesso. Il segreto della vita è guardarsi allo specchio e girarsi di spalle. Adoro l’odore della benzina. Odio l’autobiografia, ma amo altrettanto negarlo.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 10.0/10 (3 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: +4 (su 4 click)
07
Ott
2011

Ballata per prete e bambina

(da una cronaca dei nostri giorni)

“Vuoi la dolce merendina?”
domandò il prete alla bambina.
La piccola rispose avvezza:
“da tanto non penso alla salvezza.”

Le suggerì la clericale bestia:
“Assaggia pure la mia ostia”
e la bambina non disse più niente
ma rimase in ginocchio, penitente.

Quando l’eucarestia fu compiuta
la bambina pensò fosse finita
ma il prelato non la mandò via
poiché mancava ancora l’omelia.

“Quello che hai appena assaggiato
è il corpo di colui senza peccato,
è il senso della nostra santa religione.
Tu hai sperimentato la vera comunione.”

Soltanto venti anni da quel fatto
la bambina ha quasi dato di matto
perché il prete così scrupoloso
a dar la messa era ancora uso

tutti lo sanno nessuno lo dice
ormai la donna si è rivolta al giudice
non aveva capito che la stavano violentando
lo urla, lo grida, lo sta dicendo

e il bianco sommo pastore
che passa a pregare ore e ore
è stato finalmente denunciato
per aver colpevolmente taciuto

ma non sarà una semplice sentenza
ciò che smacchierà la penitenza
che degli innocenti hanno sopportato
per la fede assurda nel celibato

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 9.0/10 (1 voto espresso)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: +2 (su 2 click)
23
Giu
2011

il destino del sangue

Credete nel destino? nelle catene di eventi che si perfezionano soltanto aspettando il momento esatto che dentro di voi si è palesato per un solo cristallizzato istante? io sì.
sono andato in mensa e oltre al pranzo ho preso tre tovaglioli. Due li ho usati e il terzo me lo sono messo nella tasca destra del calzone. In camera mi sono spogliato e ho avuto l’illuminazione che aspettavo da tanto tempo: I giganti della montagna sono un’opera incompleta. Come tutte le opere incomplete di solito sono le ultime a cui un autore ha lavorato prima di morire. Pirandello mi è sempre piaciuto quindi ho deciso che quest’ultima opera incompleta dovevo averla. Mi sono vestito di nuovo, ho controllato le tasche e mi sono trovato in mano il tovagliolo. Che ci faccio con un tovagliolo se devo andare a comprare un libro? Non lo so, ma ho pensato che l’avrei capito e quindi l’ho rimesso nella tasca destra del calzone. Sono entrato in libreria e ho cercato e ho cercato. Ma Pirandello non ho trovato I giganti della montagna di (sic). Allora ho cercato e ho cercato fino a quando non ho trovato Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Ho capito che dovevo averlo. Ho cercato ancora, ho guardato in giro e ho preso anche Ancient evenings di Norman Mailer, perchè secondo Burroughs è un libro fantastico. A questo punto sono andato alla cassa.
Mentre pagavo dietro di me è passato un ragazzo con due scatoloni.
“Devi vendere dei libri?” gli ha domandato il cassiere.
“No, sono dei volantini che volevo lasciare” gli ha risposto.
“Ok, fai pure” ha detto il cassiere.
“Non è che avresti un cerotto?” ha domandato il ragazzo con i due scatoloni.
Io e il cassiere ci siamo girati a guardarlo e l’abbiamo visto in piedi con gli scatoloni in mano e dal pollice sinistro gli zampillava sangue come da una fontanella.
“Mi dispiace, non ho niente per il prontosoccorso” gli ha risposto il cassiere intascandosi i miei quattrini.
A quel punto io cosa ho fatto? cosa ho fatto? vi do un’altro po’ di tempo. Cosa ho fatto?
Ho preso il tovagliolo dalla tasca destra dei calzoni e l’ho porta al ragazzo sanguinante.
“Grazie, mi hai salvato proprio” ha risposto il ragazzo degli scatoloni.

Lo so che non mi crederete, ma è una storia vera.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 8.0/10 (2 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: +1 (su 1 click)
29
Gen
2011

questo momento

questo momento è il più fatidico della storia italiana. si può dire “più fatidico”? questa è una domanda posta soltanto per non farvi notare che se non specifico in alcuna maniera quale è «questo momento» nessuno tra voi potrebbe capire il resto di questo articolo, ma è anche vero che non voglio parlare soltanto a voi. Voglio rivolgermi anche ai vostri figli, ai vostri nipoti, ma non soltanto a quelli che avete già, ma a tutti i vostri discendenti, per i quali «questo momento» potrebbe essere anche noioso e non il più fatidico (se si può dire). Ma voi lo sapete meglio di me come è «questo momento» per voi e siccome lo avrete raccontato in qualche occasione a qualsivoglia dei vostri discendenti (ancora non lo avete fatto, ma lo farete) allora anche quelli che non stanno leggendo «adesso» sono a conoscenza di come è «questo momento» per voi. D’altra parte rivolgersi a dei futuri lettori è anche doveroso per chi si ritiene degno di scrivere qualcosa e potrebbe darsi il caso che il «questo momento» dei vostri discendenti a partire dall’«adesso» in cui scrivo abbia visto anche altri momenti molto più fatidici di quello che designo come quello di «questo momento». Ma come fare a non sottolineare, proprio a favore di questi scettici discendenti che non può essere affatto così come loro credono: «adesso» in «questo momento» è davvero il momento più fatidico della storia italiana, anche se non posso immaginare quello che potrebbe succedere persino tra qualche momento, anche se la mia immaginazione fosse la più formidabile e la più fervida, qualsiasi cosa capiti, ve lo assicuro, «questo momento» è davvero insuperabile. E in fondo anche voi che leggete «adesso» avrete sicuramente insistito con i vostri discendenti sui fatti davvero incontrovertibilmente più fatidici che in «questo momento» stiamo vivendo. E se non lo avete fatto o non ci aveste pensato vi esorto fin da ora a credere di doverlo fare, a ricordarvi di farlo. Se voi discendenti, tuttavia, dovreste pensare, proprio nel vostro  «adesso» di stare vivendo voi nel momento più fatidico della storia italiana, avrete capito anche il perché della vostra credenza e avrete capito anche perché lo credete, perché coloro i quali sono la causa diretta della vostra comparsa su questa terra non vi hanno veramente raccontato, come io avevo esortato proprio «adesso» a farlo, quello che «questo momento» significa per la storia italiana. E se non ve lo hanno raccontato è perché non lo hanno capito «adesso» «questo momento», dunque non l’hanno capito nemmeno quando era oramai un evento del  passato, nemmeno quando vi hanno guardato negli occhi e doveva balenare loro il pensiero che avrebbero dovuto rendervene partecipi, segnare la vostra mente con un «questo momento» come questo. Se non l’hanno fatto i vostri ascendenti, cari discendenti, ai quali sto «adesso» parlando, capirete bene – da grande bastardo quale sono – che non vale la pena nemmeno a me di raccontarvelo, perché credo che se non ve ne hanno parlato significa che non hanno capito, probabilmente che non mi hanno nemmeno letto, dovrete fidarvi proprio di un pagliaccio come me che «questo momento» è il momento più fatidico della storia italiana e tutto il resto, quello che verrà dopo e che per voi sarà un altro «adesso» sarà tutta un’altra storia e non un inarrivabile «questo momento» come questo.

«adesso»
VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 0.0/10 (0 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
30
Nov
2010

Venite a pisciare nel mio cesso

Vieni a pisciare nel mio cesso
lo dico anche a te coglione di un lesso
invoco il deficiente e l’impenitente
l’importuno e il rivoluzionario

Venite a pisciare nel mio cesso
c’è spazio per tutti: pisciate a più non posso
lo chiedo allo sgarbato al guardone e al maleducato
c’è posto per il matto il seduttore e per l’incantato

Vieni a pisciare nel mio cesso
chiunque tu sia senza distinzioni di razza, religione o sesso
chiamate il bugiardo, il delinquente e pure il ladro
invitate il malato il povero e il diseredato

Vieni a pisciare nel mio cesso
non ti vergognare vieni adesso
che non manchi l’eroe il debole e l’oppresso
venga l’indegno e soprattutto il disonesto

Venite tutti a pisciare nel mio cesso
venite ora, non aspettate vi facciano il processo
aspetto il rinnegato, il disincantato e lo scomunicato
e per favore ricordatevi dello smemorato

Vieni a pisciare nel mio cesso
vieni a renderti conto del tuo contributo all’universo
vieni a mischiarti con i tuoi amici e i tuoi nemici, ai tuoi uguali e a chi ti è diverso
vieni a pisciare nel mio cesso

vieni a renderlo unico e inconfondibile
contribuisci al suo tanfo e alla sua puzza
inondalo del tuo calore e della tua bile
vieni a constatare la sua acerrima bellezza

vieni a pisciare nel mio cesso
corri per confondere le acque
vieni a godere dell’unione non essere perplesso
corri per ciò che mai non tacque

Vieni a pisciare nel mio cesso
non dimenticarti di nessuno, del bastardo o del mai-nato
del figlio di puttana e nemmeno del fesso
c’è posto per tutti in questo universo disordinato

Vieni a pisciare nel mio cesso
faremo festa e non ci pisceremo addosso

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 5.0/10 (1 voto espresso)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
14
Nov
2010

Come Volevasi Democratizzare

Il presidente degli Stati Unti, mister Cespuglione, lancia una campagna di sensibilizzazione alla bomba atomica. Nei laboratori le cavie vengono sottoposte a lunghe discussioni di bioetica, salvaguardia del territorio, ecologia a lungo e medio termine, rischi dell’inquinamento sulle funzioni cerebrali dell’uomo, effetti delle radiazioni nucleari sulle forme di groviera, problematiche dello stoccaggio dei rifiuti radioattivi dei reattori; quando le pupille dell’animale sono piuttosto rossastre vengono posti di fronte ad una pulsantiera con 3 bottoni:

1) formaggio
2) copulazione
3) lancio di ordigno nucleare sullo stato maggior produttore di trappole per topi;

ogni essere senziente nei confini americani deve sentire nelle proprie mani le sorti di ogni suo simile, del futuro dell’umanità. Magri, sconvolti, i topini di ogni laboratorio costituiscono una coalizione para-sensitiva, una comunità ascetica basata sul pensiero: ogni discussione viene ridiscussa, ogni informazione passata al setaccio della verità, della formaggiosità, della copulosità: l’astinenza dal formaggio e dall’accoppiamento, porterà inevitabilmente, la prossima volta, a scegliere il 3° bottone?

Anche in italia si partecipa con entusiasmo all’iniziativa, stabilendo nei laboratori turni di lavoro per gli animali vivisezionati ancora vivi: scimmie con lingue artificiali per ringraziarci, cani coi tubi nel cervello perché sono i nostri migliori amici, gatti senza interiora per non sporcare l’asfalto dopo l’investimento, maiali con sonde sotto la cotica per saggiare le soglie del dolore, scimmie divorziate e scandalizzate dalla suocera che se la fa col genero, cercopitechi kantiani behaviouristi sottopongono i bambini iracheni agli esperimenti di Pavlov (giudizi a priori se ne hanno, per la scienza…) tutto nella norma; pinguini di montecitorio e palazzo madama risentono clamorosamente dell’autunno caldo, ma sono lì per lavorare…

L’ecologia, scienza suprema, viene investita da Berlusconi a scienza economica – il tempo è un’assonometria obiettiva che sfrutta l’insensibilità al freddo delle mani per tirare schiaffi alla Borsa di milano – gli indici, successivamente riscaldati, stabiliscono una colonnina di guadagno sull’unghia per ogni distruzione, per ogni desertificazione, intellettuale, ambientale, calcoli laser, colecisti, coliche, filtri per l’aria vengono cambiati da ogni parte, obiettori di coscienza tossicchianti agli angoli delle strade, vittime della mancanza di parcheggi…

Berlusconi insegue l’ideale internazionale della perfezione, dello spergiuro, perché usufruire dei paradisi fiscali quando l’italia può diventarne uno molto più vicino?

Un milione di Koala acquistati tramite cacciatori di frodo e inviati nelle migliori pelletterie sono scuoiati e tenuti vivi in modo da sembrare morti, ci si confezionano speciali portafogli e portamonete senzienti: grazie a degli elettrodi di stimolazione per ogni euro speso, l’animale-portasoldi diffonde un peto d’approvazione al ciclamino – se non si spende almeno un euro al giorno l’animale defeca, piscia o gasa: nelle versioni deluxe il gas agisce sui neuroni del senso di colpa. Per evitare i salti di borsa si pensa di gambizzare i canguri… Aznar ha dichiarato che se non la smettono chiama sua madre: ha baffi più folti dei suoi…

Chirac fonda l’accademia del bacillo, miliardi miliardi di virus e batteri vengono rottamati grazie agli incentivi statali: si può starnutire e tossire senza mano davanti alla bocca: ogni umano è un laboratorio semovente per studi di biologia → comparata con l’economia → comparata con la geologia: fame nel mondo, dice l’OMS, necessaria al senso di colpa della media, piccola e alta borghesia per equilibrare il senso di magnanimità beneficienza e solidarietà che gli ippopotami hanno per gli obesi dell’occidente tutte le mattine specchiandosi nei laghi.

Il disordine dell’umano stato di pace e guerra, amore e odio, tutti viviamo e moriamo…per un fine, c’è chi mangia nel frattempo, chi gode nel contempo, chi sfrutta nel frangente: ingoiate petrolio quando avete sete.

I reali di casa Savoia vanno a farsi le analisi con occhiali dalle lenti al titanio-cobalto: così possono vedere il loro sangue davvero colorato di blu…

I topi americani, prendendo alla sprovvista i ricercatori, istituiscono una libera repubblica e tentano di mandare alcuni esploratori in europa per saggiare i possibili sviluppi di una rivoluzione totale: una scimmia combattente a cavallo di un delfino con segnalatore, teleguidato dai satelliti spia…

In asia e in medio-oriente i cammelli bevono tutta l’acqua potabile esistente in quelle zone, scappano a sud, lasciano le terre desolate, seminano le città con volantini che invitano al consumo consapevole.

L’occhio che ci guarda, lo sguardo di memorie intra-uterine, di recessi anali, sondati da bagliori di fumi sballati emessi dal cervello di dio…

L’apparenza è liscia, solida, scorrevole, piacevole al tatto, alla vista; gustosssa e succosssa; ciccia di macellaio, seta di tappezziere, champagne di ristoratore, ferrari di auto-mobilista; tartufo selvatico di guardone (maialis comunis)…

Cespuglione ricorda il momento del suo concepimento, la corsa, la rincorsa → gode, polluzione notturna intelligente, schizza in un cielo armato di stelle, cade come le piaghe e la discordia, terrore, confitto nella scarnificata terra, griderà per ogni nascita violentata. È dissoluto il pensiero che si riproduce contro la volontà…

Spietata profusione: è impossibile morire giovani, è impossibile che la medicina non sia una scienza esatta, è impossibile che la religione non sia una soluzione, è impossibile che se una cosa fa bene a te fa male a me, è impossibile la stupidità, è impossibile il profumo di canfora dei nostri concetti…

…è imposssibile…

Per ogni nuova creazione il parere biblico è apocalisse, il parere medico è inseminazione d’artificio, il parere bellico è guerra, il parere economico è tangente, il parere collettivo è statistica, il parere artistito è necessario…

Attenzione: Occidente è un medicinale; tenere lontano dai bambini: poche decine di stronzi hanno potere e denaro; eccipienti: Libertà & Coscienza; leggere distrattamente le avvertenze e agitare bene prima dell’abuso;

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 0.0/10 (0 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
11
Nov
2010

la correlazione Q.

Ad un certo punto la luce della mia stanza era visibile dalla cucina e nella cucina c’eravamo Io e Lei, che d’ora in poi chiamerò Io e Lei.
Lei rimprovera Io perché ha lasciato la luce della stanza accesa ed è una cosa da non fare visto che la luce accesa inquina e spreca corrente, ma visto che si trova in cucina a maggior ragione avrebbe dovuto spegnerla. Allora Io dice a Lei che forse non è del tutto vero che egli non è nella stanza con la luce accesa. Lei lo guarda come se fosse impazzito, lo manda affanculo senza condimenti e gli suggerisce, leggermente incazzata, che se sta dimorando lì davanti a lei in cucina non può essere dimorato anche nella sua stanza. Io le dice che è proprio quello il punto. É proprio perché anche Lei è qui davanti a Io che si pone il problema: come fa Lei a sapere con assoluta certezza che Io non è nella stanza? Lei tira fuori il principio di individuazione: ogni essere è unico nella sua forma e nella sua sostanza, quindi può essere soltanto in un posto e non in due contemporaneamente. Questo è assolutamente vero, dice Io. Ma siccome non c’è apparentemente nessuno nella stanza non si può affermare con certezza che essa non sia dimora di qualcuno e soprattutto di Io; a maggior ragione poiché sei qua e il principio vale lo stesso, non puoi affermare di essere nella stanza e dire che Io non c’è. Dunque Io può essere tranquillamente nella stanza in questo momento e la luce non è inutilmente accesa.
Lei dice allora che Io vuole solo provocarla ad andare nella stanza in cui è improbabile che Io sia dimorato per poi affermare, al ritorno, che Lei ha effettivamente trovato la stanza vuota, ma in quel momento c’era qualcuno quindi la luce aveva un suo perché; inoltre se Lei torna in cucina e la luce è ancora accesa Io può affermare che anche Lei non è molto attenta all’ecologia; quindi conclude Lei, la soluzione sarebbe di andare insieme nella stanza e lì constatare che effettivamente Io è lì dove Lei può vederlo e dunque la luce accesa non perde della sua utilità.

E allora? domanda Io.
Non te la dò, dice Lei.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 0.0/10 (0 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
10
Nov
2010

L’ultimo desiderio (2/2)

leggi la prima parte

A suggello delle sue parole sul viso del Genio si disegnò un ghigno, più vicino a quello di chi ha evacuato che a quello di chi avesse voluto sentenziare solennemente.
– Maleducato, esclamò Soda voltandogli le spalle.
– Mi perdoni signorina, si scusò il Genio, vispo ma non abbastanza pentito della sua loffetta puzzolente di secoli – alla mia età è difficile trattenersi.
– La verità è che vuoi fregarmi, disse Soda.
– Voglio sbrigarmi, disse il Genio stanco e sfatto – lì dentro devo tornare, aggiunse indicando la lampada arrugginita e macchiata.
– Lo so, disse la bambina guardandosi le scarpine e il vestitino (si rabbuiò sulla macchiolina), poi indugiò sulla faccia imbellettata di quella maschera del fallimento.
Il Genio era commosso da quello sguardo, di solito le persone che lo evocavano mostravano senza ritegno sguardi famelici, erano risoluti in ogni loro richiesta, dalla più vana alla più indegna. Quella bambina aveva qualcosa che gli altri non avevano, pensò, forse il fatto di non aver ancora perduto tutte le occasioni.
Il vecchio Genio, senza rendersene contò, si lasciò andare e aprì il suo cuore:
– Ecco: mi ricordo di quello che desiderò la pace nel mondo, per il quale ho dovuto far sparire tutti gli uomini dalla faccia della terra. E che p0i ci rimase malissimo, come se avessi potuto fare altrimenti. Quello che desiderò essere il padrone del mondo dopo avermi chiesto un membro adeguato al piacere e le duecento donne più belle come mogli: ho dovuto trasformarlo in dolore, in cos’altro mai? Nell’amore forse? Non si era reso conto di aver chiesto troppo. E quell’altro che desiderava l’immortalità? Sai cos’è adesso? – la bambina fece no con la testa, ma si stava domandando cosa fosse un membro adeguato – è pura energia, disse il genio, un atomo d’idrogeno al centro del Sole. Poi ci sono quelli che non capiscono le regole del gioco. Domandano subito altri venti desideri ed io allora devo dire “Mi dispiace, hai diritto a tre desideri e non posso cambiare le regole, ne hai sprecato già uno. Allora si arrabbiano e mi picchiano. Voglio esaudire tre vostri desideri e non vi basta? Incontinenti, ecco cosa sono. Inconcludenti per giunta, gente che non sa cosa vuole e se la prende con chi gli da’ una possibilità. Per tutta la vita ho vissuto i desideri degli altri, ho vissuto dietro a persone che chiedevano, pretendevano e ottenevano per giunta: ho conosciuto molti malvagi di cui il mondo ancora si ricorda. Assurde richieste, sgangherate idiozie e geniali mortalità. Non vorrei deluderti, piccola. Non voglio deluderti, concluse il vecchio con gravità.
– E’ impossibile, disse la bambina.
– Cosa? – domandò il vecchio.
– Deludermi. Genio della lampada, affermò con decisione la bambina, voglio che tu esaudisca un tuo desiderio.
Il genio dapprima strizzò gli occhi, le sue rughe da decine divennero centinaia e migliaia, poi il suo corpo scricchiolò come una sedia che avesse visto troppi culi e stesse per sopportare proprio l’ultimo. Infine si rianimò. Calò il turbante apparendo quasi umano, meno conturbante di prima.
Soda si aspettava che dicesse qualcosa, era veramente curiosa di sapere cosa desiderava colui che per chissà quanti secoli aveva ascoltato i desideri di chissà quante persone.
– Sono turbato, disse il Genio, sono stupito e sorpreso, credo di essere felice. La bambina, che il Genio non avrebbe mai chiamato Soda, sorrise. Svirgolava un piedino nella polvere e sentiva dentro di sé uno strano prurito, un’anomala carezza per non dover vergognarsi di quello che aveva fatto.
– Sai consigliarmi quale mio desiderio devo esaudire?
– Si, rispose la piccola Soda. Basta che tu ti chieda cosa ti piace e ti dia una risposta sincera.
– Giusto, disse il vecchio – oppure – aggiunse – farti un regalo perché sei stata così gentile.
– Allora? – domandò la bambina.
– Esaudirò il desiderio di non poter più esaudire.
– Hai fatto?
– Ecco: puoi svegliarti, disse il Genio schioccando le dita.

Soda aprì gli occhi. Si era addormentata su una vecchia sedia nella cantina della casa della sua vecchia nonna che non moriva mai. Ricordava di aver sognato uno dei tanti oggetti impolverati e incrostati, macchiati e macilenti che si trovavano tra quelle cianfrusaglie accatastate… A casa non rifiutò di lavarsi le mani, non tirò un calcio al vecchio cane nero che viveva con loro, ma questa volta gli fece una carezza. Diede un bacio alla nonna, sollevata di non doverla sgridare e stupita nel vederla così allegra. Siccome era vicina l’ora di cena domandò alla nipote se avesse fame. Soda rispose con gentilezza e non si stupì affatto della risposta:
– Ho già mangiato.
Né lei, né nessun altro, avrebbe mai potuto spiegare che cosa.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 0.0/10 (0 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
09
Nov
2010

L’ultimo desiderio (1/2)

Ecco: una bambina dolce come la stretta di un pitone, bionda come la cometa dell’apocalisse e gentile come un proiettile al cuore, nella cantina della vecchia nonna che non moriva mai si entusiasmò per una lampada ad olio incrostata e zozza. La bambina, che chiamavano Soda per l’acredine delle sue parole e l’impulsività selvaggia delle sue azioni, lasciò subito cadere la lampada dopo averne constatate le miserrime condizioni. Pensò troppo tardi che avrebbe potuto macchiare indelebilmente la pelle delle sue nuove scarpette con fibbie d’argento, ma tirò ugualmente un di quei calci da spedire la lampada sulla parete di fronte con rovinoso rimbombo di stoviglie.
– Ahi! – si sentì nel silenzio segreto della cantina.
– Ahi? – Si domandò Soda.
– E’ impossibile! – sentenziò.
– Fatemi uscire! – disse una voce.
Soda si nascose dietro una colonna, il suo respiro si bloccò e credette di provare un sentimento che spessissimo s’impossessa delle persone ma a cui lei non si era mai nemmeno lontanamente arresa: la paura.
– E’ impossibile! – dichiarò.
Decisa si avvicinò alla lampada impolverata e vetusta dandole una bella strofinata con le dita delicate di strega bambina. La lampada balzò dalle sue mani e cadde per terra. Dopo qualche saltello dal cannello si sprigionò un fumo bianco profumato di lavanda. Dalla nuvola creatasi comparve un signore anziano in tenuta da eunuco con turbante, pharde e belletto in quantità così esagerata che le rughe sul viso sembravano autostrade: un’apparizione conturbante per una bambina!
– Eccomi qui. – Esclamò l’essere con dovere, ma senza entusiasmo e con un filo di voce. – Sono il genio della lampada: tu che mi hai liberato hai diritto a tre desideri. Ordina e ti sarà dato, ahi!
– Ti sarà dato ahi? – domandò Soda.
– Prima ho sbattuto la schiena – rispose il genio – Hai pensato ai tre desideri?
– Veramente si, rispose Soda.
– Bene, in genere tra l’uno e l’altro si perde un’eternità. Su, la invitò, sbrighiamoci.
Soda lo guardò attentamente: era così stanco che non si doveva mai essere visto uno stanco come lui; stava in piedi per miracolo, il mento sulla mano, il gomito sul ginocchio e una gamba piegata sull’altra. E non aveva nemmeno aperto gli occhi.
Ma Soda non ci pensò su più di tanto e proferì il suo primo desiderio:
– Voglio bere la bibita più buona del mondo.
– Ecco, disse il genio schioccando le dita.
Sul tavolino comparve un gigantesco bicchiere di vetro, colmo di un liquido viola. Soda si avvicinò e annusò: i suoi occhi vi si sciolsero dentro. Afferrò il bicchiere e d’un solo fiato s’ingollò la bibita.
– Cavolo! Mai bevuto una roba del genere, disse pulendosi il musetto accattivante.
– Eh, sospirò il genio: per lui si era sempre in ritardo pazzesco.
Soda non se lo fece mandare a dire.
– Il mio secondo desiderio è mangiare il dolce più buono del mondo.
– Ecco, disse il genio schioccando le dita.
Su un piatto di maiolica un cucchiaio d’argento era confitto in un indescrivibile sincretismo di grassi, zuccheri, proteine e fibre, quali mai nessun cuoco si sarebbe mai sognato di poter preparare. Prima di attaccare l’incomparabile super-bignè Soda diede un’occhiata al genio: aveva aperto gli occhi, sembrava dilettato da quella creazione, le rughe si erano distese in stradine di campagna, era più rilassato. In effetti aveva creato lo stesso dolce già una volta, più di due secoli prima. Era stato il più grande pasticciere del mondo a desiderarlo: non senza orgoglio e una spruzzatina a neve di vanteria stava ricordando i vanigliati e sperticati elogi per quella meraviglia dell’arte pasticcera.
Soda dovette arrendersi a metà. Ancora non era nato chi o cosa potesse vincerla, ma più mangiava e più aveva sete; vari strati dagli aromi incantevoli e dai colori saporiti erano ancora sconosciuti alle sue fauci. A malincuore pensò che avrebbe potuto chiedere la bibita dopo il dolce. Il terzo desiderio non poteva sprecarlo neanche chiedendo la bibita più buona della più buona. Naturalmente non ammise di aver sbagliato, ma scusò se stessa per l’emozione di quella meravigliosa possibilità. Il genio, invece, approfittò senz’altro di quel momento di debolezza.
– Andiamo col terzo, piccola?
– No, rispose Soda.
– Mi sembra che il dolce non lo finirai.
– Lo finirò, disse la bambina, ingollandosi disperatamente un grosso boccone che le fece rischiare un’occlusione esofagea. Purtroppo una sostanza gialla cadde lasciando le sue graziose impronte sul vestitino. Finito di deglutire con qualche gentile scossone al delicato corpicino, si avvide della macchia.
– E’ impossibile, disse pensando alla sua mise sempre immacolata.
– Smacchiamo? domandò faceto il genio.
– Neanche per idea, rispose Soda, caustica, ne ho altri novantanove. Guardò il vecchio Genio negli occhi trattenendo l’ira.
– Bene, disse il genio sicuro di sé, nella millenaria esperienza che si portano addosso queste spalle esauste, ben pochi sono stati quelli che hanno espresso un degno ultimo desiderio.

continua

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 0.0/10 (0 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
30
Ott
2010

La testa di Freud

Avevo sempre detto ad Antonio che quel coso cresceva ogni volta.
Naturalmente non ci voleva credere. Posso capirlo quel poveraccio. La prima volta capitò proprio a casa sua. C’era anche Cesare. Antonio era mezzo ubriaco e cominciò a urlare. Eravamo nella sua casa in campagna, non c’era nessun altro. Sembrava che se la fosse fatta nei pantaloni, ma non era piscio, era sangue. Un bel po’ di sangue. Quando si tirò giù i calzoni al posto dell’uccello aveva una specie di testa di serpente che gli aveva morso le gambe, come scoprimmo più tardi a causa della fame e in quel momento ci sembrò a tutti di essere usciti fuori di senno. Erano stati i funghetti, le canne, l’alcool? No, era tutto vero. Antonio stava in poltrona e si teneva il cazzo che voleva andarsene dove pareva, ma non era più il suo cazzo, era un serpente che ci guardava con i suoi occhi rossi e neri. Da quella volta, con una scusa o l’altra, tutte le notti di luna piena ci siamo dati appuntamento in quella casa per dar da mangiare al serpente. I primi mesi bastarono pizze, spaghetti, qualche bistecca. Alla sesta luna il nostro caro amico aveva una verga-serpente che avrebbe fatto invidia a John Holmes. Superava abbondantemente il mezzo metro e non sembrava nemmeno più un serpente. Mi pareva una specie di “drago”. Quello stronzo masticava pure, cazzo.
Quella notte gli abbiamo dovuto dare la cagnetta di Cesare, Pompea. È da pazzi lo so, ma non potevamo più tenerlo e Pompea abbaiava, povera bassottina. Era simpatica, ma se l’è andata a cercare. Il serpente ci sfuggì alla presa e azzannò Pompea alla gola. Fu un attimo e ci fu sangue dappertutto. Non sputò nemmeno le ossa, le sentimmo scricchiolare sotto le mandibole. Cesare non disse nemmeno una parola. Non sapeva cosa raccontare alla sua ragazza. Antonio invece dormì di brutto e il mattino dopo fu come sempre, come se niente fosse successo.
Per un altro anno dovemmo comprare conigli, polli e capretti. Tutto sembrava filare liscio. L’anniversario del secondo anno, però, non me lo dimenticherò mai. Antonio era strano, un atteggiamento da stronzo. Insisteva che stavolta non sarebbe cresciuto, che il serpente non si sarebbe fatto vedere. Ormai avevamo una cultura in fatto di lunazioni. L’abbiamo dovuto spogliare noi e legarlo alla gabbia di plexiglass in cui gli facevamo infilare il cazzo per evitare che la bestia ci mordesse o peggio. Era sconvolto, stravolto esausto. C’è da capirlo. Ma io non credevo che il serpente non sarebbe cresciuto. Quello sembrava non averne mai abbastanza.
Quando il cazzo si trasformò quel bestione sarà stato di due metri abbondanti ed era così grosso che il buco che avevamo fatto non bastava. Antonio soffriva di brutto e quel bastardo  soffiava come una cornamusa. Sbatteva la testa sulle pareti della gabbia trasparente e alla fine la ruppe. Antonio era ormai diventato un’appendice della bestia, una specie di sonaglio, per quanto sbraitava. La bestia non gli badò e si pappò in un boccone il maialino che avevamo apparecchiato. Carne dolce chiama carne dolce. Non ci fu il tempo di rendersene conto. Il serpente azzannò Cesare al collo sbattendogli la testa contro il muro. Ci fu un’esplosione di sangue e materia cerebrale, una macchia gigantesca si allargò sul pavimento. Il serpente si masticò Cesare per bene e poi si leccò anche il sangue per dessert. Antonio era svenuto da un pezzo e sapevo che la prossima volta sarebbero stati casini. Acquistai un bue, squartato naturalmente. Il pasto sarebbe stato più che generoso, ma non avevo calcolato le graziose sorprese della natura.
Quando il cazzo si trasformò il serpente era lungo più di cinque metri. La scatola di plexiglas andava bene, ma notavo nel suo sguardo famelico qualcosa di strano, una punta di coscienza: in fondo era il cazzo di un uomo, cazzo! Si staccò dal corpo di Antonio con un risucchio disumano. La coda si portò via metà degli intestini del mio amico. La bestia si girò nella scatola, disdegnò il bue e dal buco della scatola si fiondò direttamente nello squarcio del mio amico che urlava ancora mentre il serpente se lo pappava a morsi. Per fortuna fu una breve agonia. Dopo esserselo ingoiato non riusciva più a muoversi. Mi guardò dritto negli occhi prima di addormentarsi. Sono stato lì a fissarlo un quarto d’ora. Assomigliava a Freud, quella testa di cazzo!

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 7.0/10 (1 voto espresso)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)