10
Nov
2010

L’ultimo desiderio (2/2)

leggi la prima parte

A suggello delle sue parole sul viso del Genio si disegnò un ghigno, più vicino a quello di chi ha evacuato che a quello di chi avesse voluto sentenziare solennemente.
– Maleducato, esclamò Soda voltandogli le spalle.
– Mi perdoni signorina, si scusò il Genio, vispo ma non abbastanza pentito della sua loffetta puzzolente di secoli – alla mia età è difficile trattenersi.
– La verità è che vuoi fregarmi, disse Soda.
– Voglio sbrigarmi, disse il Genio stanco e sfatto – lì dentro devo tornare, aggiunse indicando la lampada arrugginita e macchiata.
– Lo so, disse la bambina guardandosi le scarpine e il vestitino (si rabbuiò sulla macchiolina), poi indugiò sulla faccia imbellettata di quella maschera del fallimento.
Il Genio era commosso da quello sguardo, di solito le persone che lo evocavano mostravano senza ritegno sguardi famelici, erano risoluti in ogni loro richiesta, dalla più vana alla più indegna. Quella bambina aveva qualcosa che gli altri non avevano, pensò, forse il fatto di non aver ancora perduto tutte le occasioni.
Il vecchio Genio, senza rendersene contò, si lasciò andare e aprì il suo cuore:
– Ecco: mi ricordo di quello che desiderò la pace nel mondo, per il quale ho dovuto far sparire tutti gli uomini dalla faccia della terra. E che p0i ci rimase malissimo, come se avessi potuto fare altrimenti. Quello che desiderò essere il padrone del mondo dopo avermi chiesto un membro adeguato al piacere e le duecento donne più belle come mogli: ho dovuto trasformarlo in dolore, in cos’altro mai? Nell’amore forse? Non si era reso conto di aver chiesto troppo. E quell’altro che desiderava l’immortalità? Sai cos’è adesso? – la bambina fece no con la testa, ma si stava domandando cosa fosse un membro adeguato – è pura energia, disse il genio, un atomo d’idrogeno al centro del Sole. Poi ci sono quelli che non capiscono le regole del gioco. Domandano subito altri venti desideri ed io allora devo dire “Mi dispiace, hai diritto a tre desideri e non posso cambiare le regole, ne hai sprecato già uno. Allora si arrabbiano e mi picchiano. Voglio esaudire tre vostri desideri e non vi basta? Incontinenti, ecco cosa sono. Inconcludenti per giunta, gente che non sa cosa vuole e se la prende con chi gli da’ una possibilità. Per tutta la vita ho vissuto i desideri degli altri, ho vissuto dietro a persone che chiedevano, pretendevano e ottenevano per giunta: ho conosciuto molti malvagi di cui il mondo ancora si ricorda. Assurde richieste, sgangherate idiozie e geniali mortalità. Non vorrei deluderti, piccola. Non voglio deluderti, concluse il vecchio con gravità.
– E’ impossibile, disse la bambina.
– Cosa? – domandò il vecchio.
– Deludermi. Genio della lampada, affermò con decisione la bambina, voglio che tu esaudisca un tuo desiderio.
Il genio dapprima strizzò gli occhi, le sue rughe da decine divennero centinaia e migliaia, poi il suo corpo scricchiolò come una sedia che avesse visto troppi culi e stesse per sopportare proprio l’ultimo. Infine si rianimò. Calò il turbante apparendo quasi umano, meno conturbante di prima.
Soda si aspettava che dicesse qualcosa, era veramente curiosa di sapere cosa desiderava colui che per chissà quanti secoli aveva ascoltato i desideri di chissà quante persone.
– Sono turbato, disse il Genio, sono stupito e sorpreso, credo di essere felice. La bambina, che il Genio non avrebbe mai chiamato Soda, sorrise. Svirgolava un piedino nella polvere e sentiva dentro di sé uno strano prurito, un’anomala carezza per non dover vergognarsi di quello che aveva fatto.
– Sai consigliarmi quale mio desiderio devo esaudire?
– Si, rispose la piccola Soda. Basta che tu ti chieda cosa ti piace e ti dia una risposta sincera.
– Giusto, disse il vecchio – oppure – aggiunse – farti un regalo perché sei stata così gentile.
– Allora? – domandò la bambina.
– Esaudirò il desiderio di non poter più esaudire.
– Hai fatto?
– Ecco: puoi svegliarti, disse il Genio schioccando le dita.

Soda aprì gli occhi. Si era addormentata su una vecchia sedia nella cantina della casa della sua vecchia nonna che non moriva mai. Ricordava di aver sognato uno dei tanti oggetti impolverati e incrostati, macchiati e macilenti che si trovavano tra quelle cianfrusaglie accatastate… A casa non rifiutò di lavarsi le mani, non tirò un calcio al vecchio cane nero che viveva con loro, ma questa volta gli fece una carezza. Diede un bacio alla nonna, sollevata di non doverla sgridare e stupita nel vederla così allegra. Siccome era vicina l’ora di cena domandò alla nipote se avesse fame. Soda rispose con gentilezza e non si stupì affatto della risposta:
– Ho già mangiato.
Né lei, né nessun altro, avrebbe mai potuto spiegare che cosa.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 0.0/10 (0 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
09
Nov
2010

L’ultimo desiderio (1/2)

Ecco: una bambina dolce come la stretta di un pitone, bionda come la cometa dell’apocalisse e gentile come un proiettile al cuore, nella cantina della vecchia nonna che non moriva mai si entusiasmò per una lampada ad olio incrostata e zozza. La bambina, che chiamavano Soda per l’acredine delle sue parole e l’impulsività selvaggia delle sue azioni, lasciò subito cadere la lampada dopo averne constatate le miserrime condizioni. Pensò troppo tardi che avrebbe potuto macchiare indelebilmente la pelle delle sue nuove scarpette con fibbie d’argento, ma tirò ugualmente un di quei calci da spedire la lampada sulla parete di fronte con rovinoso rimbombo di stoviglie.
– Ahi! – si sentì nel silenzio segreto della cantina.
– Ahi? – Si domandò Soda.
– E’ impossibile! – sentenziò.
– Fatemi uscire! – disse una voce.
Soda si nascose dietro una colonna, il suo respiro si bloccò e credette di provare un sentimento che spessissimo s’impossessa delle persone ma a cui lei non si era mai nemmeno lontanamente arresa: la paura.
– E’ impossibile! – dichiarò.
Decisa si avvicinò alla lampada impolverata e vetusta dandole una bella strofinata con le dita delicate di strega bambina. La lampada balzò dalle sue mani e cadde per terra. Dopo qualche saltello dal cannello si sprigionò un fumo bianco profumato di lavanda. Dalla nuvola creatasi comparve un signore anziano in tenuta da eunuco con turbante, pharde e belletto in quantità così esagerata che le rughe sul viso sembravano autostrade: un’apparizione conturbante per una bambina!
– Eccomi qui. – Esclamò l’essere con dovere, ma senza entusiasmo e con un filo di voce. – Sono il genio della lampada: tu che mi hai liberato hai diritto a tre desideri. Ordina e ti sarà dato, ahi!
– Ti sarà dato ahi? – domandò Soda.
– Prima ho sbattuto la schiena – rispose il genio – Hai pensato ai tre desideri?
– Veramente si, rispose Soda.
– Bene, in genere tra l’uno e l’altro si perde un’eternità. Su, la invitò, sbrighiamoci.
Soda lo guardò attentamente: era così stanco che non si doveva mai essere visto uno stanco come lui; stava in piedi per miracolo, il mento sulla mano, il gomito sul ginocchio e una gamba piegata sull’altra. E non aveva nemmeno aperto gli occhi.
Ma Soda non ci pensò su più di tanto e proferì il suo primo desiderio:
– Voglio bere la bibita più buona del mondo.
– Ecco, disse il genio schioccando le dita.
Sul tavolino comparve un gigantesco bicchiere di vetro, colmo di un liquido viola. Soda si avvicinò e annusò: i suoi occhi vi si sciolsero dentro. Afferrò il bicchiere e d’un solo fiato s’ingollò la bibita.
– Cavolo! Mai bevuto una roba del genere, disse pulendosi il musetto accattivante.
– Eh, sospirò il genio: per lui si era sempre in ritardo pazzesco.
Soda non se lo fece mandare a dire.
– Il mio secondo desiderio è mangiare il dolce più buono del mondo.
– Ecco, disse il genio schioccando le dita.
Su un piatto di maiolica un cucchiaio d’argento era confitto in un indescrivibile sincretismo di grassi, zuccheri, proteine e fibre, quali mai nessun cuoco si sarebbe mai sognato di poter preparare. Prima di attaccare l’incomparabile super-bignè Soda diede un’occhiata al genio: aveva aperto gli occhi, sembrava dilettato da quella creazione, le rughe si erano distese in stradine di campagna, era più rilassato. In effetti aveva creato lo stesso dolce già una volta, più di due secoli prima. Era stato il più grande pasticciere del mondo a desiderarlo: non senza orgoglio e una spruzzatina a neve di vanteria stava ricordando i vanigliati e sperticati elogi per quella meraviglia dell’arte pasticcera.
Soda dovette arrendersi a metà. Ancora non era nato chi o cosa potesse vincerla, ma più mangiava e più aveva sete; vari strati dagli aromi incantevoli e dai colori saporiti erano ancora sconosciuti alle sue fauci. A malincuore pensò che avrebbe potuto chiedere la bibita dopo il dolce. Il terzo desiderio non poteva sprecarlo neanche chiedendo la bibita più buona della più buona. Naturalmente non ammise di aver sbagliato, ma scusò se stessa per l’emozione di quella meravigliosa possibilità. Il genio, invece, approfittò senz’altro di quel momento di debolezza.
– Andiamo col terzo, piccola?
– No, rispose Soda.
– Mi sembra che il dolce non lo finirai.
– Lo finirò, disse la bambina, ingollandosi disperatamente un grosso boccone che le fece rischiare un’occlusione esofagea. Purtroppo una sostanza gialla cadde lasciando le sue graziose impronte sul vestitino. Finito di deglutire con qualche gentile scossone al delicato corpicino, si avvide della macchia.
– E’ impossibile, disse pensando alla sua mise sempre immacolata.
– Smacchiamo? domandò faceto il genio.
– Neanche per idea, rispose Soda, caustica, ne ho altri novantanove. Guardò il vecchio Genio negli occhi trattenendo l’ira.
– Bene, disse il genio sicuro di sé, nella millenaria esperienza che si portano addosso queste spalle esauste, ben pochi sono stati quelli che hanno espresso un degno ultimo desiderio.

continua

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 0.0/10 (0 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)