26
Feb
2011

Ultimo estratto

il telefono vibra.<< Pronto Sergio! Mi senti!?>>, << si ti sento, dimmi! >>,<< ho interrogato qualcuno qui sotto … >>, << si va beh, vai avanti! Che t’hanno detto! >>, << che hanno visto un culo! >>, come !? << un culo hai deto ! >>, <<  Antonello Bossi ricordi!? quello col megafono, dice, di aver visto un culo! >>, << Un culo!?>>, << si, e delle mani che lo reggevano >>, << questa poi! >>, dio che immagine! << Sergio che facciamo!? Allora!? O! >>, << Stefano aspetta un attimo, ti richiamo dopo >> , << si >>, << a dopo >>. Bingo, in bagno! Che imbranato, fosse rimasto li, << colleghi torniamo in dietro >>;  Sergio!? Che sonno, devo smetterla di fare le tre, << che hai detto!? >>, indietro!? O capito bene!? << da sotto mi dicono di aver visto un culo >>, << un culo!?  e che ci faceva.. >>, un culo poi, << adiamo Vittò !? ma che fai? il Carabiniere!? Che doveva farci un culo in un posto dove si lanciava merda!? >>, e che ci doveva fare!? << Me!!!!! Vitto!!!! Stava defecando!>>, defecando, << defecando! >> effettivamente che ci voleva fare un culo in un teatro del genere, che merde! C’hanno cagato sopra, fisicamente, ma che vergogna, che schifo, che umiliazione, e che bassezza, un gesto ignobile, vergognoso, così meschino un attacco, alla dignità. Potevano usare l’acqua … si certo, se dai un’occhiata al corteo, più che acqua, ti vien proprio voglia di lanciare merda, ma se, ogni qualvolta un “soggetto” proferisce parole, turpemente indicative, d’un concetto ancor più ignobile, tutti incominciassero a lanciare merda, dove finiremmo mai!? In che posto, e poi che dico a mia moglie? << Preferisco non uscire sta sera >>, che forse è meglio che dirle quel che già dico! <<sono stanco, vediamo che danno in tv >>, lei, così bella, che immobile, nel tempo, simile ad un’arpa, accompagna le mie fredde notti, da non ricordarne più certo l’ottava, o la nona, ma non la prima, la quale con ostinazione, lotta, conquista, e governa il mio avvizzito cuore, e debbo dire, nonostante, le lancette del tempo. Nonostante, già! Calza a pennello.
Eppure, le scale, il piano, ho una strana sensazione, vedo a tratti, ferraglia, il muro sa di muffa solo a guardarlo, e pian piano, si espande e mangia pezzi di muro. La struttura s’allunga, mi inceppo in ingranaggi non troppo ordinati. Un orologio, ed io a girare, nelle sue rotelle, nel mentre di una progressione. Un salire, o più in genere, uno spingere in su, un po’ involuto, un po’ inatteso. Salgo scomodamente, spinto da una forza che mi governa, ne sento il tratto, ne reggo il peso, ma non  per molto, o forse, non per il quanto basta, che importa. Continuo a emergere e l’aria gela i peli del naso. Soffro seppur euforico, soffro, mentre il palazzo si svuota delle sue scale e si fa tromba, ed io tirato su, d’un tiro, e lo stesso, che, acquista di nuova forma, e l’anima che cede, a vederne gli intonaci così ingialliti dal tempo, che non sento, e non sente, scorrere più. Il freddo di questo tempo mi uccide. Tratti di lucidità. Io tento, ma non riesco, le palpebre, i miei occhi, e,  una passiva lacrima a scendermi il viso. Non noto l’ironia, eppur la sento. Mentre la scala ritorna normale. << Vitto! Ma stai dormendo in piedi ! >>, cosa!? a si! che sciocco! << Un pensiero, solo un pensiero >>, << si immagino! lanciare merda sui manifestanti a favore del No alla Moschee, fino ad arrivare, addirittura, a defecare, fisicamente, su di un civile poi! >>, << Da nove piani Sergio, da nove piani >>, << ammazza che mira o! >>, << te lo immagini!? Tu che caghi sul capo commissario e lo prendi dal nono piano! >>;  eccome  << Vittò cammina dai, andiamo a prenderli >>, << se non lo facciamo noi! >>, << gia!>>, << sti stronzi! >>.

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20
Feb
2011

like a kiss by a kisser

..il vento flebile farà vibrare chimes di luce che ti accecano facendoti sorridere, è il fastidioso solletico della persona che da sempre più ami, lo seguirai con lo sguardo e ti accorgi che si muove accarezzando ciò che rende tutto insignificante, da te stesso a noialtri, è come se conoscesse tutto quello che da grande avrai da insegnare, se non il bene, cosa è bene dire, cosa è vivere, e cosa significa stare male, è come ascoltare il mare in un bicchiere, se lo sai fare, è come il cielo delle nove quando pensi che che a New York è notte e te ne freghi, perché l’importante è guardarci e provare, saperlo dire a chi ti piace e renderlo un po’ particolare, almeno fino a quando continuerai a chiederti di dirti per una volta di non rifare le scale, se col sereno hai dimenticato l’oscurità degli occhiali o la plastica per proteggere i tuoi ideali più effimeri, quando il cielo è grigio e sembra invece sempre così bianco, quando il corpo è stanco e l’essere supino ti sazia, quando il guardare avanti non ti appaga, se hai la testa che galleggia, se hai il volto rigato dal pianto e in faccia l’aria fredda che lo graffia, scoppiare in una risata e far sorridere chi ti guarda, decomporre l’ordine di ogni lista e bagnare la spalla del povero sconosciuto che t’abbraccia, quando torni in strada, ascoltando la realtà e il suo colore, sarà l’arancione di un tramonto caldo e fragile, come il tubo a vuoto che suona gonfio ad ogni emozione pulsante..

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01
Feb
2011

Green Grass

Mi portavi nella tua mano.

Ero piccola, così piccola, che nessuno poteva vedermi.

Quando ero così piccola,  non esistevano le profezie.  Non esisteva il caffè lungo. Non esistevano le pandemie o la paura di volare.

Mi tenevi stretta tra un dito ed un altro ed io guardavo da una fessura, le porte,  le case,  le strade della città. E il cielo,  a volte livido di paura,  a volte azzurro come il mare.

Quand’ero così piccola,  per tenermi al caldo ti coprivi le mani di bosco marrone. Non esisteva lo sciopero generale. Non esisteva l’infinito.

Nel mare mi facevi roteare e soffiavi leggermente il tuo ossigeno per farmi respirare, per paura che potessi annegare. In una grotta lontana un filo di luce mi inondava di calore. Aprivi la mano ed io mi lasciavo asciugare.

Mi portavi nella tua mano. Ero così piccola,  così piccola, non sentivo dolore e non esisteva l’apparenza del reale o la tribuna elettorale.

Mi stendevo sopra il tuo dito e lo abbracciavo sorridendo, creavo delle forme strane con il corpo, come una pietra preziosa. Ero piccola e nella mano mi stringevi, mi nascondevi, dal vento, dalla pioggia, da altre mani.

Quando ero così piccola, gli acari della polvere non esistevano. Neanche le febbri suine. Neanche le amicizie lontane o quelle che non esistevano più.

Quando ero così piccola, non esisteva l’addio, o che non mi sapessi leggere i pensieri, le porte d’estate non si chiudevano, e il mondo si reggeva e basta, non esisteva l’ Alabama e neanche i canali satellitari.

Quando ero piccola, così piccola, mi portavi nella mano.  E quando la notte chiudevo gli occhi sognavo di un mondo meraviglioso che viveva fuori.

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01
Feb
2011

La Parte

E ritorniamo pure a trastullarci, rotolando come cani, nascondendo il nostro lato feroce.
Ci ubriacheremo di pensieri felici, viaggeremo pure tra le ovvietà più celebri del momento,
emulando quella strana danza che siamo soliti fare insieme, a volte.
Questa sera ritorniamo pure a parlare d’amore e per l’ennesima volta; diciamoci ancora quanto c’amiamo e quanto ci vogliamo bene, senza cercar prove, che non si sa mai, qualcuno potrebbe restar deluso,
forse io. . .
perché non tu.
Pensiamo a scodinzolare, pensiamo a muover la coda, convinceremo gli osservatori più scrupolosi, faremo i conti con le loro panchine giù al parco, ci daremo da mangiare per un po’.
Saremo assenti, lontani a chi passa, un mondo nel mondo, un quadro al lato della strada, esponendoci fieri, in ogni angolo. Qualcuno si ricorderà di averci visto, magari mano nella mano, o abbracciati, magari con altri, lasciamoli nel dubbio e proseguiamo. Andiamo avanti e ripetiamolo spesso, <<andiamo avanti>>, sarà meno dura . Prendiamo una mela, tagliamola in due, dividiamo il concetto dal contenuto, facciamoci bastare il secondo che il primo non è molto facile da inquadrare.
Ora un bambino sta gattonando su un tappeto blu, guarda una scatola non troppo grande, un nuovo gioco.
Ci sono tanti mattoncini rossi  li in mezzo, il bambino guarda le immagini e guarda i suoi mattoncini. Il libro delle istruzioni parla chiaro, i pezzi vanno montati in un certo modo. È  già passato un po’ di tempo, suo fratello più grande gli si avvicina, non guarda le figure, gli omini disegnati, non pensa all’ordine. In un ora è riuscito a costruire un fortino col fossato, prende qualche indiano, un po’ di vecchi strani pupazzi e li mette li, a imitare una vecchia battaglia, il bambino non sembra essere contento. Guarda il fratellone, poi guarda la costruzione, poi guarda la figura sul libretto delle istruzioni. È triste, sulla scatola c’è un enorme distributore di benzina, non un fortino, ne indiani. I suoi amici non l’avranno montato in quel modo. Lui lo vuole così, come quello che hanno tutti.
I cani si annusano il culo per conoscersi, i padroni ne stringono forte le museruole, poi li liberano,
ci mettono cinque minuti, sarà forse per onestà intellettuale,  poi il maschio punta le zampe anteriori sulle scapole della cagna e se la fa, alla berlina, e ciò che è certo e che a lei non dispiace affatto.
Ma ora non importa, ora quei due si passano le mani sul viso, si accarezzano, lei gli dice tra un bacio e l’altro, <<è così che ti voglio>> e poi ancora << non cambiare mai>> e intanto
lui non saprebbe come sentirsi più solo.

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