28
Set
2011

Sturm und Drang

Teresa,
in queste voci non trovo le tue labbra, in questo vento io non sento il tuo respiro; e mi domando quanto lontano, e immenso, sia quel mare che ogni giorno ha la pazienza di dividerci, coi suoi mille umori a noi indifferenti, tra i nostri sospiri affranti che non lo scuotono di un soffio. Immagino il tuo petto sollevarsi ed abbassarsi sotto un lenzuolo di pieghe di luce, con l’alba che entra da quel balcone sospeso nel cielo – il cielo di un paradiso lontano, un paradiso di acqua e terra. Troppo lunghe sono le ore di questi giorni, e troppo leggeri e fragili i tuoi pensieri; tanto che non mi arrivano, e si perdono nella brezza e tra gli alberi, e sui continenti, e scorrono come brividi lungo schiene sconosciute, e cadono nel buio degli occhi di qualche straniero, in cui ti perdi per pochi minuti confusi.
E ogni mattina io cerco i tuoi occhi, Teresa, sulle increspature e sulle onde di questa distanza blu e smeraldo; e accarezzo il tuo corpo col raso della tua vestaglia bianca, e gioco sulla tua schiena perfetta con mille fili dei tuoi lunghi capelli neri.
Ti immagino al balcone, immersa nell’aria ferma e gelida del mattino; e vorrei scuoterti negli spasmi del mio tormento, nella silenziosa folle bufera che osservi al sicuro, dietro il vetro dei tuoi occhi… Vorrei infrangere quelle enormi finestre della tua anima e fare mio tutto ciò che vedi, e tutto ciò che hai visto; vorrei rubare la luce che ogni giorno ti disegna su uno sfondo diverso da tutto ciò che vedo, e da tutto ciò che ho visto…Teresa!
La vita senza te è tragedia e morte; ma se tu non fossi mai stata, allora che senso avrebbe avuto questo mare, e dove avrebbe trascinato le sue nuvole il vento? Teresa, senza il tuo nome, quanto sarebbero sterili queste mie parole, quanto sarebbe arida questa terra, e gracile questo mio male, e comune questo mio sentire?
Da te non voglio uno sguardo, o un bacio dei più appassionati; da te non voglio l’amore, Teresa, l’amore dei sussurri e delle confessioni; da te voglio la vita, Teresa, la vita! La vita tua, e mia; e la vita di questo mare inquieto e di questo vento senza pace, e di queste distese di sabbia, e di uomini, e di luce e di follia, e di tutto quello che intorno a me chiama, e freme, e con tutta l’anima e con tutta la forza, nelle mie viscere e nella mia testa, grida: Teresa!

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24
Set
2011

trying to get close to the rain without getting wet.

aveva l’abitudine di collezionare piccoli oggetti metallici, li raccoglieva da terra. Fingeva di inciampare, sfiorava il suolo e con gesti distratti afferrava monetine, anelli, tappi di bottiglia, portachiavi. Poi si rialzava irrigidendo la schiena (nel pugno chiuso il pezzetto d’acciaio) e riprendeva a camminare con le mani in tasca. Lungo il tragitto verso casa sentiva l’aria diventare più fredda, focalizzava l’attenzione sui dettagli, sui semafori, sui vestiti stesi al sole tra i palazzi, sui giochi di luce che si riflettevano nelle pozzanghere.

Quel giorno uscì di casa al mattino presto, ai piedi i soliti stivali logorati dalle piogge acide della città, chiuse la porta dietro di sé facendo eco nel palazzo. Uscì sulla strada ad aspettare che nascesse il giorno, incrociò poche auto chiare, un cane annoiato, un vecchio. All’improvviso un bagliore, scorse in lontananza una scintilla di luce, accelerò il passo. Si avvicinò vertiginosamente all’oggetto, con sistematicità finse d’inciampare, si piegò su se stessa, toccò il suolo e, con somma meraviglia, quello che vide fu il suo cuore.

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17
Set
2011

stranger in a strange land

una ferita profonda nella carne viva, perfetta come un punto. mi sono macchiata di rosso le scarpe ed ho pensato a quando dicevi che il mio sangue era color melograno. mi chiamavi regina di sabbia e di tenebra, dicevi che nei silenzi celavo universi, pensavo al collare del gatto nel film Men in black, quel collare che conteneva galassie parallele, mi sembrava ridicolo. parlavi molto, dicevi che era un modo per compensare i miei vuoti di suono, dicevi che non sei nato poeta, ma la vita è poesia in via dei matti al numero zero.

 

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14
Set
2011

la crisi

Via Stalingrado. È  mattino. Un sole timido scalda l’asfalto d’una grande città. Non sono che le sette e un quarto, e già macchine in fila, strade intasate e finestrini abbassati. Tutti fermi al terzo di quattro semafori ad annusare lo smog. Il nostro automobilista è lì col suo alito fresco, la sua camicia firmata, al collo porta le sue iniziali e su quello stesso collo una faccia non molto sveglia.
Quand’ecco che un ometto malvestito s’avvicina alla vettura, porta con sé uno straccio ed un secchio. I due si fissano, il finestrino è per metà abbassato, l’ometto sorridendo fa  <<Hey tu. Dico a te!>>, l’incredulo  automobilista sospettosamente volge il viso a destra e mancina, forzando la coda dell’occhio cerca altri, convinto che d’altri sia l’insolita conversazione. Non notando nessuno risponde <<a chi!? A me?>>.
Adesso  l’ometto è ancor più vicino all’automobile,  <<si, proprio a te. Sporgiti>>, << Cosa!?>>, alla radio Cirrus Minor, un pezzaccio del sessantanove, si coniuga bene alle prime luci del sole, << su, avanti, di cosa hai paura, guarda, non mordo mica!>>. L’aria è ancora fresca, non come quella del pieno pomeriggio, viziata, dalle temperature, dal mondo, dall’umidità. <<su avanti! Ho qualcosa per te>>. Il guidatore diffida, e più lo sconosciuto sorride, meno questi si sente d’assecondarlo, e meno si sente d’assecondarlo, più s’odia, amareggiato forse dalle sue tante mancanze e debolezze, egli infatti vorrebbe fidarsi, ma non riesce, inutile, certamente vittima di luoghi comuni socialmente tipizzati.
L’ometto è fetido, l’ometto è scarno, chiaramente in rosso ed il verde non scatta, il verde s’attende. Secondi come minuti, mentre il primo della classe dal basso del suo sedile non sa come reagire. Migliore è chi si fida, certo! E già pensa a come saltar con cortesia la strana richiesta. <<hai bisogno di soldi? Vuoi qualcosa da mangiare?>>, << grazie, ma di soldi non ho bisogno…>> eppure  così non sembra, poi aggiunge <<…ho solo qualcosa per te, permettimi di farti un regalo, sporgiti!>>.
Lonesome and a long way from home, mentre la gran cassa incomincia a vibrare. Nella macchina, ora, un mondo di suoni ed un chitarrista che certo sa quanto basta! Una nuvola audace scopre il cielo che da’ al sole più giogo. La luce tocca il vetro, l’oltrepassa, infilza una bottiglietta d’acqua e si rifrange nel retrovisore. Il nostro automobilista ne resta per un attimo accecato.
Un presagio, lo è senz’altro, questo pensa, mentre si ripete;  fidati, oltre le apparenze, ecco la direzione, la strada è qui, la strada è ora, ma devi essere svelto, che il semaforo non da’ altro tempo, qui più nessuno ne ha.  Prezioso, il tempo è danaro, oppure un’arma, certo nelle giuste mani. Rock and roll is dead, le auto davanti dan colpi di clackson, accelerano, sgasano, annunciano il via. <<Avanti, su! Che ti costa!?>>. Il guidatore pare pensarci seriamente, i due continuano a fissarsi. <<va’ bene, abbasso il finestrino, ma non fare scherzi!>>, il tizio annuisce poi aggiunge << dai su, fai in fretta, altrimenti scatta il verde!>> . <<fatto!>>, <<sporgiti>>, <<cosa devi fare?>>, <<è una sorpresa!>>, <<sicuro tutto ok!?>>, <<certo, tutto ok!>>, <<allora mi sporgo!?>>, <<ma sei scemo? Certo che si!>>. Il giovane finalmente si sporge.
Quattro signori conversando attorno ad un tavolo spalancano la bocca sgranando gli occhi.
Uno dei quattro li stropiccia più e più volte, poi fa’ agli altri tre <<dovremmo intervenire!?>>. Ed ora è il cameriere a tranquillizzare i suoi clienti. << comodi, comodi! È sempre la stessa scena, la vediam tutte le mattine alla stessa ora>>, <<dice sul serio?>> ,<<certo!>>.
<<ma è un pazzo!?>>, <<o cielo, no. direi proprio di no!>>, <<e allora!?>>, << solo uno che ha  perso il lavoro, ora fa il lavavetri…>>, il cameriere si ferma un attimo, sospira,  <<…e prima di iniziare col suo nuovo lavoro, sceglie l’idiota più pulito della fila e lo prende selvaggiamente a sberle, ogni giorno, alla stessa ora!>>. <<…>> i presenti in silenzio, guardano ora perplessi, <<robe da matti>>, <<… e botte da orbi!>>.
Ora scatta il verde. Gli ultimi due colpi vanno a vuoto…

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10
Set
2011

Basic Space

Sono un palloncino con il ciclo mestruale. Non ho troppe parole da usare per spiegarvelo. Essendo un palloncino.
Vado in bagno. Magari mi passa.
Non il ciclo mestruale. Sai, la storia del palloncino.
Niente.
Nemmeno pisciando. Neanche se mi lavo la faccia.
Gneeeek gneeeeek. L’acqua stride sulla plastica. Niente. Mi rassegno all’essere un palloncino con il ciclo mestruale. Svolazzo gocciolando fino alla cucina.
Non so come fare colazione. Lo so che non dovrebbe essere questo il problema. Ma adesso lo è.
I palloncini mangiano? Non credo.
Ma d’altro canto, se ho il ciclo mestruale, dovrò pure prendere del ferro, da qualche parte. Sbatto contro la maniglia della porta. Ah-ah, molto molto divertente, dio.
Per mangiare si deve avere fame? Punti di vista.
A volte per mangiare basta un orario.
I palloncini hanno un orario? Ehi, che bella parola, palloncino. Mi sento già più leggera.
Poi guardo giù e quasi ho le vertigini. Le piastrelle del pavimento sono un sacco più piccine. In un lago di sangue.
Capisco che ogni goccia che perdo sono una goccia più leggera e una goccia meno umana. E la mia testa, che è anche la mia pancia, è anche quella sempre più leggera. Sempre più vuota.
Stai a vedere che mi pianto contro il lampadario.
Attenta al lampadario! Attenta al lampadario! Mi dicevano sempre quando correvo con i palloncini in casa. Il palloncino di Sailor Moon. Ogni anno. Ad ogni festa. La luna a quest’ora sarà piena di palloncini di Sailor Moon. Per quante lacrime ci ho buttato dietro avrei dovuto diventare un sacco più leggera. Ma forse questo lo fanno solo i palloncini. Forse più piangevo e più il palloncino andava in alto.
Punti di vista.
Occavolo. Intanto che pensavo, sono quasi arrivata al lampadario. Pensavo a…? Boh. Bah.
Mi devo spostare. Credo. Essì che il lampadario è spento. Ma stasera, poi? Io ho paura, del buio.
Però forse pensare già a stasera… sono le otto di mattina. Sì e no che c’è il sole.
E intanto tocco il lampadario. Allora mi dico che è ora.
Quindi i palloncini hanno un orario. (A volte le risposte non hanno un senso, ma solo un momento.)
Vado verso il balcone. A terra è uno stillicidio.
Stillicidio. Stilli. Che bel nome. Il palloncino Stilli. Stilli!
Stillicidio… il mio sangue per terra… mi stanno ammazzando! Via, al balcone! Al balcone!
Ma la ringhiera è troppo bassa. E il sangue è quasi finito. Carenza di ferro!
E infatti la manco. E vado su. Quasi mi infilzo su un albero. Poi via.
Su e su.
E su, e su! Cielo! Di che è fatto il cielo?
Il cielo è fatto di azzurro.
E cielo e cielo per chilometri….
E…
Quindi…
Ora…?

Scusatemi ma oggi ho la testa tra le nuvole.

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