18
Nov
2010

Akrospolis

Ed è forse davvero un cammino dalla testa ai piedi, dall’alto verso il basso.
All’inizio è allo stomaco che prende, come un feroce e ridondante senso di nausea, come un malessere, simile a un rutto, ci strozza la gola, lentamente. Esiste un prima, ed esiste un dopo, ma il dopo sembra così poco chiaro nella sua profondità, così inutile il prima, il durante come una chiave di volta, regge il peso della struttura, mentre il corpo si scioglie.Ed ora inizio a vedere i pensieri, incomincio a distinguerli, e a seguirli, senza sforzi. Mi accorgo di essere finito, mi determino,e a poco a poco mi perdo, in un dove conosciuto, familiare.Il sangue chiama, il cuore esulta, il corpo non esiste, non riesco a ingoiare la saliva, il corpo ne produce troppa, il corpo non esiste, non è un mio problema, non più. E vorrei stendermi un’attimo, vorrei chiudere gli occhi, ma così perderei quasi certamente lo spettacolo creativo. Vorrei parlare, dire qualcosa, ci penso su, metto in fila cinque o sei parole, muovo le labbra, non sento nulla, restano li, ma in fondo va bene.E la tazza di caffè è li a fumare sul tavolino, il mio sangue come quel caffè, il mio corpo come quella ceramica, e si scalda, e fa caldo, e mi sento triste, troppo triste in quei panni. La camera si apre, la camera è un santuario, la camera è il mio corpo, il mio corpo è sacro, il mio corpo è una pianura,il mio corpo è una distesa interminabile, il mio corpo è tutto, afferra mari, si lega al cielo, e sa d’argilla, e odora di vento. Mentre il divano mi risucchia, e con me l’universo.E ascolto suoni descrivere la potenza del vivido. La natura non puo’ tutto, la sua potenza non è divina, ne illimitata, la sua forza non poggia le sue radici nell’immaginazione, magari Dio, ma non lei, lei, che vive di necessità, di condizioni. Il mondo che si dispiega ia miei occhi è infinitamente vario e molteplice, eppure tutte queste cose, innumerevoli, diverse, sono abbracciate dal mio spirito, che diventa il loro, ed il loro che diventa mio. Qui non c’è Dio, ciò che turba il mio occhio, turba anche il sole. Qui non c’è Dio. La dualità è essenza naturale, l’unicità è fallacia interpretativa umana, la dualità non si confonde mai, è l’uomo che si allontana dal suo contesto, quello che gli è proprio, per elevarsi al di sopra delle bestie, oltre le montagne, camminare sulle acque per affermare la sua supremazia, per ricordare a chi non può per natura, di essere lui speciale, lui, volontà. La dualità è completezza, incompleta è solo l’unicità, chi è tutto non è nulla, ma il tutto può essere composto da tanti piccoli contrasti, tante piccole forze, è l’uomo non è che una componente del sistema.Dio non è altro che un bisogno dell’uomo, alla pari di una sega, o di una scopata. Dio è il mio spirito che cade in errore, che pecca di presunzione, che fa di vanità il suo vanto. È la dualità a generare il sistema, é l’opposizione, la contrazione, il riprendere fiato dopo averlo perso a reggermi in piedi. É l’uomo che genera Dio. Qualunque forma di vita nasce e muore, accettare la vita vuol dire accettare la morte. La dualità come motore immobile del mondo. Il cielo è fermo, il cielo è stanco di guardarci, è forse Dio!? Il cielo è forse Dio!? Ovvio che no, è solo un modo per unirmi al cielo, e partecipare alla sua forza, e limitare la mia; sapere quanto è lungo il mio braccio per capire il movimento da far compiere al mio corpo per arrivare alla tazzina, e afferrarla. Contestualizzarmi. Riappropriarmi di ciò che sono, afferrare dio, sottometterlo, sfondargli il culo, fottendomelo nel mio letto, tra le mie lenzuola, nella mia terra, sotto il mio cielo, tra campi e vecchie messaie, senza farlo godere.Ricordare all’uomo che non è nulla senza ossigeno, ma è uomo senza Dio. Venerare mio padre, venerare mia madre, venerare il loro amore, ad essi debbo la vita, e fermarmi a loro, senza arrivare ad Abramo, fermarmi alle cause prossime, fermarmi a loro. Non mi sento, ma vi sento tutti, e in quei tutti ci sono anch’io. E in quei tutti che vedo il mondo, e in quei tutti che poggia il mio sommo rispetto. È così che riscopro l’amore. E intanto la Mescalina si fa più invadente.

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Akrospolis, 9.5 out of 10 based on 2 ratings

{10 Responses to “Akrospolis”}

  1. il fine di questo articolo non è insultare Il Credo, ma esporre un pensiero.
    so che può sembrare in prima lettura offensivo; quindi vi chiedo di scusarmi in anticipo se del caso. Ad una lettura più attenta e accurata credo che di scuse non ci ne sarà bisogno.

  2. non credo sia offensivo. è giustamente un tuo pensiero. “É l’uomo che genera Dio.” anche se così fosse, quanta bellezza c’è nell’imperfezione e nella debolezza umana…
    Io avrei tolto la mescalina.
    era bello anche senza.

    scarlattina blu
  3. A tratti massimo volume e a tratti disarticolazione della realtà. Sei il solito, grazie a Dio. O devo dire “meno male”??

  4. Incredibile mi trovo d’accordo con pdM. Ci vedo del rock italiano fine novanta. e stavo giusto per chiederti che musica prediligi.

    gasparecido
    • allora… De Andrè, Guccini, Vinicio, Offlaga, gogol bordello, Manu chao, De gregori, Rino Gaetano, Bandabardò,
      Massimo volume, cccp, Marlene, Marta sui tubi, Mannarino, after quelli vecchi però! Bresson, Bob Dylan, Rolling stones, Beatles, System of a down, the Doors, Radiohead, Nirvana, e similiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii 🙂 spero di non aver dimenticato nessuno, sto completamente ubriacoooooooooooooooooo!

      micaos
    • Infatti dove s’è mai visto TU d’accordo CON ME?!?!

  5. veramente comincia come un romanzo, continua come un saggio di filosofia che sfuma in un’omelia e finisce come… micaos? ma io non ho tutta questa cultura dei moderatori. sono solo una scrittrice non praticante.

    anitagrey

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