Nemo


04
Giu
2011

estratto

Sprofondavano piano, come radici attecchivano saldamente al terreno squassando la terra intorno, erano in due, ognuno dei quali da solo bastava a se stesso, nessun pensiero oltre le insenature di quella muschiosa corteccia, tiravan su’ forti, senza subir né darle, prendaevano ciò che dovevano, senza che il mondo potesse vantar credito… con loro la natura era in debito, ma questo loro non seppero mai, così impeganti a vivere poi…

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28
Mag
2011

Dead dog walking on the road

Era uno sporco ed umido lunedì, giorno timido del Maggio che presto si sarebbe piegato all’impavido Giugno lasciando al suo vento iniziale più forti istinti a domandar del corpo l’azione. Un mattino sudaticcio, un pavimento appiccicoso, delle persiane rotte tirate su da un sole lungi dall’esplodere. Il giorno inizia così, cammina col tazzone di caffè ancor caldo riempiendo il soggiorno della sua magra figura coperta solo da degli orribili mutandoni bianchi, la radio è  accesa, annuncia il buon giorno, passa della musica blues.  Ha ancora gli occhi chiusi, poggia la mano a reggergli il mento, sono le otto ed i suoi gomiti puntano al tavolo. Non è  affatto sveglio, ma non ci vorrà molto, accadrà presto, solo ora, dategli il tempo di rifletterci su, cercate di capirlo, da tempo la sua vita a preso questa piega, va’ avanti da un po’  e non è un disturbo, né qualcosa che si cura, non serve medico, solo un motivo, ed egli tarda a trovarne uno, ho forse parlato di donne!? Ecco appunto!
In questa casa c’è solo un tipo in mutande or chino a lavar i denti, e una radio che continua a ronzare blues, e se provassimo ad addentrarci in quel bilocale, noteremmo che è completamente sprovvisto di qualunque strumento utile alla conclusione d’un rapporto, né atmosfera, né ordine, insomma, completamente inadatto ed impreparato. Non che lui ci pensi, ed è infatti questo il punto, visto che qualunque cosa gli stia passando per la mente è modo comune accomodarla all’uscita così, senza un vero è proprio scacciare, solo un leggero accompagnamento, fin quando quel pensiero non c’è più. Certo non roba da lui, così onesto con sé stesso, così razionale, così mansueto, non si può dir che sapesse sempre come comportarsi, certo ad egli era molto chiaro il come non volesse comportarsi, e questo bastava. Andava avanti così, senza tirar giù a picco nessuno, con se, in quel abisso che non aveva ancor saputo riempire, e forse mai avrebbe trovato modo, lui e il suo caos, un rapporto di per sé faticoso, difficile sarebbe stato includere un terzo elemento senza rischiar di saltar tutti all’aria, e poi, in fondo, non aveva mai funzionato. Eccolo, a sciacquarsi la bocca col bicarbonato, roinfrescato avanza verso il balcone attraversando la camera, le tende son ferme, le tende sfibrate dal caldo sembran secche, a piedi scalzi guarda fuori, le antenne ossidate dall’aria, i balconi, i passanti, le immondizie e i topi; siamo a Napoli, in un giorno che di per sé non vuol dir nulla eppure…
<<vince il candidato voluto dal basso, la maggioranza e l’opposizione dovran rivedere le loro politiche, vince la legalità, vincono i giovani, vince Napoli>>. La radio annuncia i risultati elettorali, pochi secondi di silenzio generale,  la città attonita, quasi un mancamento globalizzato, poi vi fu un’esplosione di rumori, clacson, trombette, e tanto fracasso, ad emular per un momento quei piccoli paesini di campagna e il loro clima accogliente, ebbene si, Napoli è in festa, il nuovo arriva anche qui, il nuovo siamo in tanti a volerlo, è ufficiale, ecco cosa festeggia la città; la sua primavera. Una nuova gioia a scaldar i ventri di tutti, dopo anni di rabbia, di dolore, di sangue, di fronte a piccoli sciacalli e iene in ordine sparso, senza Stato.<<Ora il sindaco dovrà vedersela con la munnezza, ma nell’aria c’è fiducia, sotto il nostro studio vediam festeggiare, sembra quasi che dei problemi di ieri l’oggi non voglia farsi perseguitare, felici dunque facciam gli auguri al nuovo sindaco, un imbocca al lupo per il suo mandato, buona fortuna!!!>> .  Ora si siede, anche  lui come molti è commosso, solo che  qualcosa in un lui, a differenza d’altri, sta premendo per venir fuori rinfrancato dal lieto evento pronto per uscire e forte, ma d’una forza a lungo cercata tanto da non esser stata più attesa. Ha bisogno di manifestarsi, ha bisogno di trovar conferma, forse l’ultima, questo non sa, tantomeno so dir io, ma ora, presto, si veste, lo fa in fretta, ha gli occhi che vedon ben oltre il cassetto della biancheria, scava con le mani tra le calze, ne prende paia e paia, poi passa alle mutande, e continua con maglie pantaloni, felpe, sacco a pelo, non è molta roba, riempie uno zaino senza sembrar goffo. I documenti, qualche soldo, lascia il cellulare, scrive un biglietto agli amici, prende un cappello in paglia dura e va’.
Dove nessuno sa’, neanche lui.
30 Maggio 2011 i primi a preoccuparsi saranno i genitori, poi i fratelli, ed infine gli amici, e tutto avverrà in modo così graduale, così perfettamente come pensato, così fedele a quanto la mente proponga da lasciargli in volto uno scavato sorriso, che trattiene con ostinazione nel suo andare, persistente, come la sua gioia, che continua a muovere i suoi passi, procede pensando a come resteran tutti di stucco, divertito da quel suo immaginare continua ad addentrarsi nelle vite che ritiene in comunione con la sua,e già volge al pensar gli amici, già li vede a raccontar di lui alle cene negl’anni che verranno. Sente che è il suo momento, il suo grande giorno, sente che è l’inizio soltanto, fiero marcia in strada senza meta, fiero guarda i cumuli di pattume ragguagliati al ciglio della strada, fiero della sua scelta, quasi a voler urlare ai quattro venti <<finalmente!!>>. Accidenti! Pensar così tanto senza mai agire, ripetersi in quell’eterno parlarsi addosso, ebbene torna alla luce e lo fa il trenta di Maggio alle otto e trentasette minuti, tempo di reazione alla notizia: un minuto e ventidue, sua madre nel partorirlo ci mise di più.

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21
Mag
2011

Empati-a

Uno strano vento a spiegar le membra, ed io come plastica, volo.
La strada mi chiama, son passi lenti quelli che seguon, piccoli vero, ma pur sempre passi.
Non v’è cosa ch’io tocchi senza segnare, similmente ad’un aratro, rompo le zolle, scavo la terra, lasciando al sole le ustioni; non m’affeziono al dolore, lo tratto come fosse un mio oggetto, essenziale e scomodo allo stesso tempo. Mi muovo nel dinamismo sociale, gl’entro dentro e appena stufo, appena vuoto, salto fuori, come un coito interrotto, pronto a riempirmi di nuovo. Non so dominarlo,
non domino, nulla, nessuno, a stento costringo me stesso. Strangolo l’emozioni scomode, nutro le passioni utili, impongo le mie volontà al mio corpo, eppure in sordina s’annusa, s’accusa, l’ammutinamento.
Una vita stentata, passata a lasciar impronte; su ogni oggetto o mobilio, ogni ritratto, vecchie foto, soprammobili compresi. Finisci coll’essere circondato dalle stesse, finisci con l’essere preda d’un’agguato, e son loro a tendertelo. T’aspettan  rigide, rabbiose; t’odian  da una vita per il troppo  e mal amore dato, non sai resisterle, son troppe, tante piccole immagini, tanti piccoli dubbi.  Tu le comprendi, tu le giustifichi, ma parti del tuo cuore o meno, ora muovon verso te,  devi difenderti, oppure, lasciarti al fallimento.
Ed i tuoi simili, eccoli, vedi?  Si stringon a te, certo ti perdonerebbero la fuga, ed anzi, già ti dicon d’andare, li senti sussrrarti : una strada vale l’altra quando si fugge, comodi, t’accasan pronti a esimerti, solo,
tu non te lo perdoneresti mai. Sarebbe  totale disfatta.
Ed ora  sai spiegar noi cosa  provi a morire,
per questo eletto primo uomo riuscito al fine, dominar perfettamente la volgare quanto sciatta paura.
é lei ad andar, mentre tu, viv’ancora…
A volte ti penso,  così mi scopro a compatirti, così mi risolvo; vado avanti, ti lascio indietro anch’io,
povera quanto ingenua vittima di te stessa, che già m’intristisco.
Dici di volere, dici di sapere, dici di sentire, dici d’amare,
e quel che non dici è quello che sei,
anch’io stretto nei tuoi vestiti!

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11
Mag
2011

ipocrisi-a

Quella dell’inferno è
stanza insolita per far canoscenza…
eppur siam qui, e tu
hai voglia di me,
di giuocare  ad altro gioco così partecipando,
all’ennesimo, massacro,
forse l’ultimo…
ma adesso siam qui,
solo il nulla oltre le pareti ed ora,
tra queste fiamme,
in questo foco,
dove le certezze, preste,  inceneriscono,
questo core carbonizzato si
riafferra alla vita e ritorna a battere,
facendo rumore… già!
Un puro quanto ingenuo fracasso.
E puoi gridare e piangere, puoi confonderti;
scomponiti,
so ch’è quel che vuoi;
non tornare indietro, piuttosto,
cerca tra il tuo corpo il mio corpo,
e mordimi, e leccami,
sbranami l’anima, o, quel che ne resta,
so che in questo sei molto brava,
non durerà che una notte…
perché siamo all’inferno,
ed è davvero  insolito
cercare, amore, in un posto così…
fragile

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09
Mag
2011

Primo giorno

Lui è li che si masturba, sul banco tiene aperto il libro di geografia, la classe è muta, la maestra è in piedi a spiegare come intende procedere nell’insegnamento della disciplina, è il primo giorno di scuola, e l’eco delle sue parole è accompagnato da un leggero silenzio ed un sordo stropicciare. Sergio sente qualcosa, nell’aria, dietro di lui, sta succedendo qualcosa, sforza la coda dell’occhio, l’insegnante è in piedi,  i compagni attenti, quel rumorino gli ricorda qualcosa, si insinua in lui un sospetto.
Sergio non conosce nessuno, è il primo giorno anche per lui, e non si sente a suo agio, alle medie veniva preso in giro, sa dir di se soltanto questo, tutto il resto gli è ancora  oscuro, tutto, così poco comprensibile, selvaggio, non si conosce affatto, né sa prevedere il futuro.
Sergio è attento, guarda la docente, la fissa bene, è molto bella, giovane, castana, porta gli occhiali,
e quel sospetto inizia a sconquassargli le pareti craniche, domande come << se sia mai possibile !?>>, << sta ansimando!?>>  scorrono come titoli di coda sul palco.
Ora il suo pudore si fa violento, è come una forza sorda, non v’è ragione che tenga,  sta’ ansimando, lo sente, ne è quasi certo, fa’ per prendere qualcosa dalla cartella, un diario, tiene lo sguardo basso, vorrebbe, ma non ha il coraggio, s’accorge che forse è meglio non sapere, suppur  le cose stessero in quel modo egli che dovrebbe fare!? denunciar forse alla classe!? Un fatto così sporco, così istintivo …
La penultima fila è un postaccio, ci sono i somari e gli scansafatiche,  questo le aveva detto sua madre prima di lasciarlo a scuola, aggiungendo poi, tienitene alla larga, ma lui a star d’avanti mica gli andava, e poi avrebbe voluto passare inosservato almeno per un po’, far le cose con calma, e lontano dalle attenzioni della gente, ed ora è qui, a rimettersi composto sulla sedia, mentre la  sua curiosità lo rallenta.
La maestra sente un brusio, qualcuno bisbiglia qualcosa, la maestra nota anch’ella un rumore a lei noto, ecco che il brusio si fa più forte. La maestra smorza le frasi, disarticola i periodi, la sua sintassi grammaticale è scossa da un’idea che prende piede in testa, e la sconquassa tutta, è il primo giorno di scuola, anche per lei ed ora muove verso le ultime file, piano.
Sergio è rimasto al brusio, il suo imbarazzo lo congela nel tempo, il panico come unico signore domina questa giovane mente, la maestra muove verso di lui, il pene del suo amico è allo scoperto, e vorrebbe dirlo, e vorrebbe urlare, che lui con questa storia non centra niente, l’insegnante arriva sente i suoi passi, l’imbarazzo lo prende, la maestra esplode, il ragazzo viene; Sergio è in prima fila, un genere di spettacolo a cui non avrebbe mai voluto partecipare.
Il Preside è ancora a bocca aperta.
la prof. Racconta, inorridita, disgustata, vomita lo schifo costretta a trangugiare a forza nella sua ora di lezione, e lì che trema, innervosita, avvilita, senza guardare loro, che ora son seduti alla scrivania del primo professore della scuola.
Sergio non ci crede, non vuol crederci; si rifugia nella pindarica aspettativa d’un ritorno alla realtà,
spera che sia tutto un sogno, spera  che all’improvviso suoni la sveglia, a ricollocarlo nel giusto mondo.
Ma non tutto è conforme a giustizia, e il mondo è un apparecchio complesso, certo domestico, non per casalinghi della vita.
La nota a monito nel registro della classe puzza d’ingiustizia come lo stesso corpo docenti per Sergio, povera e stupida insegnante, idioti compagni di classe, stupido ed ebete mondo …
Di quel tizio Sergio non sa nulla, né nulla ricorda, dopo la sospensione  si trasferì …
egli non tornò a scuola, ma Sergio non era un vigliacco, c’è tornato, in quel postaccio, messo in prima fila, per punizione fianco alla cattedra, giorno dopo giorno, linciato dalle meccaniche più sozze della vita in società, vittima d’uno stupro di massa, una sproporzionata aggressione al suo io, costante nel tempo. Chi  non ha mai sfogato la propria frustrazione su quel rachitico mezz’uomo!
Gli accoltellavano la dignità ogni giorno.
In quella scuola si ride ancor di lui, nessuno l’ha mai conosciuto, né sa qualcosa, solo…
il suo nome, quello lo ricordano tutti molto bene in città: Sergio u’ Recchiaun’
ed alle cene tra amici, nelle quiete sere d’inverno qualcuno sorseggiando buon vino
racconta ancora di lui ridendoci su,
per intrattenere
la noia.

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30
Apr
2011

Anatema

M’ammazzava pian piano con quella sua ossuta quanto insignificante locuzione verbale,
t’amo diceva, eppoi ancor t’amo;
manlevava dentro garantendo per me amore, eppur sopiva china, silenziosa, quasi in defetto,
m’osservava come una serpe, fissando i miei tarli, quasi fossero visibili.
Avrei voluto sciacquarla via, come fosse crosta sulla pelle, quella mia, con la sua,
una trepida quanto insolita fusione fredda, carne con carne, mentre il turpe m’appesa bilanciandomi,
il bacino muove, si scontra flettendo, è tutto un’onda, è tutto in uno.
Sporco e confuso sudo candeggina, lava via tutto. La pelle sbianca, brucia piano,
il corpo continua a sudare, continuo a sciogliermi, continuo a perdermi, sempre più confuso, sempre più irritato.
Lei nulla nota , lei  nulla vede, eppur sente;  è tutto un bruciare.
Fuoco, senza fiamme, non c’è guerra più sublime d’una campagna militare che muova alle spalle d’un incerto nemico, circuendolo t’inoltri, insidiando le sue carni, strappando morsi aggiungi amore,
un dolore irrinunciabile, un gioco accattivante, quasi perdi la lingua mentre ti lecca il cranio.
Un’elisione spontanea, nata dal nulla, giuocata senza  criterio, senza regole, ecco,
solo un tu ed io e tanti dubbi, insignificanti, come  un pensiero, solo, più fisico, ed in tutto quel mentre
quasi dimenticavo chi fosse la parte passiva, quasi scordavo chi e cosa fosse.
Anelava piano e stanca, affaticata dalla foga del Corpo,
povera Anima, fosse stata d’un altro l’avrei capito,
ma, ahimè, era mia.

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04
Apr
2011

Ancora!?

Ed è così che impastano il cemento, col sabbione, sbattendo la cazzuola nel secchiello,
un quartino d’acqua e parsimonia, mentre il cielo ci crolla addosso
Atlante si siede rassegnato. Non è la terra ad uccidere l’uomo né il suo raffreddore,
nulla conta la natura, pressoché inesistente la sua volontà,
un Leopardi solo piange le sue rachitiche spalle, la sua cecità, morrà piangendo;
quanto Egli dista dall’uomo, e quant’altri ne emulano il minuto orgoglio, stupiti da una quasi ritrovata dignità lasciata alla retorica d’un fiore sbocciato alle pendici d’un qualunque vulcano del mondo.
<<Vedo giganti>> questo diceva il saggio Omero, iscrivendo alla memoria dei posteri circa un antico viaggio degno solo d’un uomo. Quanti pericoli incontra chi s’avventa in mare, ad ogni miglio dalla costa nuove creature s’eclissano nei sotterfugi d’un onda, ti seguono, aspettando il propizio momento.
V’è più d’un uomo su quel barcone, questo dovete dire ad Omero, v’è più d’un Dio a guardarlo partire, è l’umanità intera a guardare, a piangere, i suoi naufraghi risucchiati dagli ingorghi del vasto mare.
E sulla terra ferma!? Chi nutre le nostre speranze!?
Forse una manica di proci!?
Eccoli pronti ad usurpare un trono, a muovere guerra e con libertaria enfasi s’armano di morti già beatamente santificati, moriran dunque martiri, a due minuti dal collasso nucleare i nostri fidi Proci già pensano in petrolio, piazzati come tante piccole Cortigiane a battere la terra, vendendosi a pochi,  vendere la vita, lasciando a  noi la morte.
Ma Odisseo guarda alle stelle, procedere piano, sfida gli dei, s’avvale d’ingegno, misura gli uomini, s’arroga il diritto di dissentire, s’illude che al mondo esista qualcosa fuori dalla portata degli dei, che sfugga al loro controllo. Egli non è uno strumento, egli non serve nessuno, è un naufrago, ma ve ne sono a millanta, che su esili imbarcazioni affrontano l’eterno mare, spezzando in due le acque, abbattono muri, muovono su ali di cera, incatenati, sventrati dagli avvoltoi, cercano fuoco, bevono cicuta, immolando il proprio sangue offrono le loro vene al sovrano che lo esige, ricordando così al popolo che esiste l’uomo ed esiste, anche, la cattiveria di un Re.
All’unanimità oggi, Il regno Italico muove guerra ad  altro stato, l’opposizione concorda, non tutta, pochi restano fuori. Tutto avviene così in fretta, sembra quasi inarrestabile è come una misteriosa forza, ne avverti il peso, ma non la tocchi, non puoi fermarla, così dicono. La guerra è inevitabile, la guerra è giusta, siete dunque favorevoli!?
è strano come tutto questo ricordi in me un talaltro evento,  che vide il Cristo d’un certo Dio ucciso attraverso una certa votazione, avvenuta per mezzo di semplici uomini, con il tacito assenso della autorità, per semplice e genuina acclamazione popolare.
L’unanimità dunque, avete memoria forse d’uno  strumento più crudele!?

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26
Feb
2011

Ultimo estratto

il telefono vibra.<< Pronto Sergio! Mi senti!?>>, << si ti sento, dimmi! >>,<< ho interrogato qualcuno qui sotto … >>, << si va beh, vai avanti! Che t’hanno detto! >>, << che hanno visto un culo! >>, come !? << un culo hai deto ! >>, <<  Antonello Bossi ricordi!? quello col megafono, dice, di aver visto un culo! >>, << Un culo!?>>, << si, e delle mani che lo reggevano >>, << questa poi! >>, dio che immagine! << Sergio che facciamo!? Allora!? O! >>, << Stefano aspetta un attimo, ti richiamo dopo >> , << si >>, << a dopo >>. Bingo, in bagno! Che imbranato, fosse rimasto li, << colleghi torniamo in dietro >>;  Sergio!? Che sonno, devo smetterla di fare le tre, << che hai detto!? >>, indietro!? O capito bene!? << da sotto mi dicono di aver visto un culo >>, << un culo!?  e che ci faceva.. >>, un culo poi, << adiamo Vittò !? ma che fai? il Carabiniere!? Che doveva farci un culo in un posto dove si lanciava merda!? >>, e che ci doveva fare!? << Me!!!!! Vitto!!!! Stava defecando!>>, defecando, << defecando! >> effettivamente che ci voleva fare un culo in un teatro del genere, che merde! C’hanno cagato sopra, fisicamente, ma che vergogna, che schifo, che umiliazione, e che bassezza, un gesto ignobile, vergognoso, così meschino un attacco, alla dignità. Potevano usare l’acqua … si certo, se dai un’occhiata al corteo, più che acqua, ti vien proprio voglia di lanciare merda, ma se, ogni qualvolta un “soggetto” proferisce parole, turpemente indicative, d’un concetto ancor più ignobile, tutti incominciassero a lanciare merda, dove finiremmo mai!? In che posto, e poi che dico a mia moglie? << Preferisco non uscire sta sera >>, che forse è meglio che dirle quel che già dico! <<sono stanco, vediamo che danno in tv >>, lei, così bella, che immobile, nel tempo, simile ad un’arpa, accompagna le mie fredde notti, da non ricordarne più certo l’ottava, o la nona, ma non la prima, la quale con ostinazione, lotta, conquista, e governa il mio avvizzito cuore, e debbo dire, nonostante, le lancette del tempo. Nonostante, già! Calza a pennello.
Eppure, le scale, il piano, ho una strana sensazione, vedo a tratti, ferraglia, il muro sa di muffa solo a guardarlo, e pian piano, si espande e mangia pezzi di muro. La struttura s’allunga, mi inceppo in ingranaggi non troppo ordinati. Un orologio, ed io a girare, nelle sue rotelle, nel mentre di una progressione. Un salire, o più in genere, uno spingere in su, un po’ involuto, un po’ inatteso. Salgo scomodamente, spinto da una forza che mi governa, ne sento il tratto, ne reggo il peso, ma non  per molto, o forse, non per il quanto basta, che importa. Continuo a emergere e l’aria gela i peli del naso. Soffro seppur euforico, soffro, mentre il palazzo si svuota delle sue scale e si fa tromba, ed io tirato su, d’un tiro, e lo stesso, che, acquista di nuova forma, e l’anima che cede, a vederne gli intonaci così ingialliti dal tempo, che non sento, e non sente, scorrere più. Il freddo di questo tempo mi uccide. Tratti di lucidità. Io tento, ma non riesco, le palpebre, i miei occhi, e,  una passiva lacrima a scendermi il viso. Non noto l’ironia, eppur la sento. Mentre la scala ritorna normale. << Vitto! Ma stai dormendo in piedi ! >>, cosa!? a si! che sciocco! << Un pensiero, solo un pensiero >>, << si immagino! lanciare merda sui manifestanti a favore del No alla Moschee, fino ad arrivare, addirittura, a defecare, fisicamente, su di un civile poi! >>, << Da nove piani Sergio, da nove piani >>, << ammazza che mira o! >>, << te lo immagini!? Tu che caghi sul capo commissario e lo prendi dal nono piano! >>;  eccome  << Vittò cammina dai, andiamo a prenderli >>, << se non lo facciamo noi! >>, << gia!>>, << sti stronzi! >>.

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01
Feb
2011

La Parte

E ritorniamo pure a trastullarci, rotolando come cani, nascondendo il nostro lato feroce.
Ci ubriacheremo di pensieri felici, viaggeremo pure tra le ovvietà più celebri del momento,
emulando quella strana danza che siamo soliti fare insieme, a volte.
Questa sera ritorniamo pure a parlare d’amore e per l’ennesima volta; diciamoci ancora quanto c’amiamo e quanto ci vogliamo bene, senza cercar prove, che non si sa mai, qualcuno potrebbe restar deluso,
forse io. . .
perché non tu.
Pensiamo a scodinzolare, pensiamo a muover la coda, convinceremo gli osservatori più scrupolosi, faremo i conti con le loro panchine giù al parco, ci daremo da mangiare per un po’.
Saremo assenti, lontani a chi passa, un mondo nel mondo, un quadro al lato della strada, esponendoci fieri, in ogni angolo. Qualcuno si ricorderà di averci visto, magari mano nella mano, o abbracciati, magari con altri, lasciamoli nel dubbio e proseguiamo. Andiamo avanti e ripetiamolo spesso, <<andiamo avanti>>, sarà meno dura . Prendiamo una mela, tagliamola in due, dividiamo il concetto dal contenuto, facciamoci bastare il secondo che il primo non è molto facile da inquadrare.
Ora un bambino sta gattonando su un tappeto blu, guarda una scatola non troppo grande, un nuovo gioco.
Ci sono tanti mattoncini rossi  li in mezzo, il bambino guarda le immagini e guarda i suoi mattoncini. Il libro delle istruzioni parla chiaro, i pezzi vanno montati in un certo modo. È  già passato un po’ di tempo, suo fratello più grande gli si avvicina, non guarda le figure, gli omini disegnati, non pensa all’ordine. In un ora è riuscito a costruire un fortino col fossato, prende qualche indiano, un po’ di vecchi strani pupazzi e li mette li, a imitare una vecchia battaglia, il bambino non sembra essere contento. Guarda il fratellone, poi guarda la costruzione, poi guarda la figura sul libretto delle istruzioni. È triste, sulla scatola c’è un enorme distributore di benzina, non un fortino, ne indiani. I suoi amici non l’avranno montato in quel modo. Lui lo vuole così, come quello che hanno tutti.
I cani si annusano il culo per conoscersi, i padroni ne stringono forte le museruole, poi li liberano,
ci mettono cinque minuti, sarà forse per onestà intellettuale,  poi il maschio punta le zampe anteriori sulle scapole della cagna e se la fa, alla berlina, e ciò che è certo e che a lei non dispiace affatto.
Ma ora non importa, ora quei due si passano le mani sul viso, si accarezzano, lei gli dice tra un bacio e l’altro, <<è così che ti voglio>> e poi ancora << non cambiare mai>> e intanto
lui non saprebbe come sentirsi più solo.

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14
Gen
2011

la vie, ici, nous écrase

Aspettando il giorno più freddo dell’anno per poi cedere alla Primavera, l’Estate arriva dopo, preferisco l’Autunno, più fraterno che amico, meglio l’Autunno. Che  le foglie cadano, che il vento le soffi pur via, che importa, con generosa impazienza, non aspettano che quello, i motivi vengono poi, per quelli c’è sempre tempo, per quelli, il tempo, non basta mai. Preferisco l’Autunno, l’Inverno è così freddo, l’Estate troppo calda, con le sue ambizioni, e la sua grinta, quando tutto finisce la nostalgia regna sovrana,e si avvinghia, e ci costringe in una morsa stretta, serrata c’attanaglia, per seguirci ovunque, cornuta e coccolona, come le gran donne di una volta, dalle quali i mariti fuggono, con le quali i figli invecchiano, per poi riscoprirsi giovani in un’età dove le articolazioni si fanno fragili, e il cuore debole. Quanto è triste tornare giovani senza essere mai stati adulti, trapassando la vecchiaia per tornare all’amore, o alla morte.
Non è del tempo che temo la stretta, come potrei!? Puoi forse tu toccarlo il tempo!? Puoi forse fabbricarlo!? O compatirlo!? Puoi tu dominarlo!? No, il tempo non è mio affare, del tempo non ho mai percepito la presenza, sono i ricordi quelli che fuggo, e il loro accatastarsi, come legna, a costruire una struttura piramidale, per poi generare fuoco, e fumo, in un euforico falò che nulla ha di felice. Quelle che vedi non sono lacrime, quello che senti non è il mio cuore, ne il suo battito, troppo debole per spegnerne l’incendio. E allora brucio, e che dunque bruci. Lontani i passanti ne vedranno le fiamme, nel dubbio tra lo scottarsi e il passar oltre, leveranno gli occhi, per un momento, alla fiamma, ma sarà il fumo a prenderli, passeranno oltre, come tutti del resto, tranne noi. Perché legarsi ai ricordi è come perdersi in mare aperto, nella nebbia, su di una zattera, senza remi o con che importa!? Cosa cambia!? Puoi tu sapere dove andrai!? Puoi tu puntare all’obbiettivo!? no, non è una storia quella che mi appresto a narrare, ma una ricca concatenazione di eventi nei quali il caos regna sovrano. Non c’è un lui, una lei, o un noi, ma solo foglie che cadono senza troppa resistenza e vento che va a spazzarle via. Adesso, potrete sentirvi foglie o vento, cosa cambia!? Per chi la differenza!? Di chi la vittoria!? Siete solo un flusso caotico nella testa di un folle, forzate pure la vista, inquadrate pure la scena, immortalatela se più v’aggrada, ma non vi troverete, ne troverete l’io narrante, perché a nessuno appartiene, di nessuno fa parte, eppure abbraccia tutti, e lo fa con sfigurato e smisurato amore, tanto da morire, per trovare in voi l’inizio, ed in lui …
la fine.
Avrei potuto amarvi, fermarvi, pilotarvi in un vicolo cieco, parcheggiarvi in un passo carraio ed aspettare, che qualcuno vi portasse via, e facesse pulizia nella mia sconclusionata strada; sarà il tempo si dirà un giorno, sarà stato lui, ma mi lascio al caos, mi butto dentro, in un pensiero, e resto li, senza neanche più il dolore o la tristezza, forse melanconia, forse le sue braccia al collo,o i suoi baci in fronte, ma non fatevi trarre in inganno, non scambiatelo per amore, è solo compensazione, affinità dell’io, che quel peso non a tutti abbraccia, a qualcuno stringe, ad altri stritola, e quelle labbra così tenere ed inoffensive, di quanti ne hanno morso il collo, per affondarne i denti nella giugulare.
Esangue, estenuato, come la prima volta che scioccamente feci per gioco all’amore, eppur mi illudevo che di quel respiro ne percepissi l’animo, o l’essenza. Mai ferito, eppure già ero li pronto a sanguinare, e a fingermi leso, come tutti del resto, e forse più.
Si torna vecchi ogni giorno per poi riscoprirsi coglioni, ma continuo a dirmi,
<<Preferisco l’autunno>>, che l’Estate troppo da, e troppo chiede, meglio l’autunno, pacato e quieto, più fragile dell’Inverno, più dolce della frizzantina e vivace primavera. Nell’inamovibilità di un caos mite, che del quieto fa aggettivo, che dell’estate sparge le ceneri, quasi a celebrare il ricordo ormai tardivo di un sole che troppo a fatto per non essere paragonato ad un solitario e malpagato Dio. Non ci son più, eppur ricordo, ed in quegli attimi seppur mi vedo con personalissimo tratto,  ormai constato la mia distanza da quelle notti, e forse più che un sono mi stimola un ero, ma anche di quest’ultimo inganno sento la paura. Possiamo andare o fuggire, ma ricordate, ovunque siate,piaccia o meno, la vita è li a schiacciarci.

Ed è così che si finisce col terminare un racconto senz’averlo mai iniziato, che sia vita anche questa !? per la risposta non val la pena perdere il sonno. Dormite lieti ! il Domani v’attende con splendido giorno, il domani…
verrà anche quello, senz’altro verrà.

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