30
Apr
2011

Anatema

M’ammazzava pian piano con quella sua ossuta quanto insignificante locuzione verbale,
t’amo diceva, eppoi ancor t’amo;
manlevava dentro garantendo per me amore, eppur sopiva china, silenziosa, quasi in defetto,
m’osservava come una serpe, fissando i miei tarli, quasi fossero visibili.
Avrei voluto sciacquarla via, come fosse crosta sulla pelle, quella mia, con la sua,
una trepida quanto insolita fusione fredda, carne con carne, mentre il turpe m’appesa bilanciandomi,
il bacino muove, si scontra flettendo, è tutto un’onda, è tutto in uno.
Sporco e confuso sudo candeggina, lava via tutto. La pelle sbianca, brucia piano,
il corpo continua a sudare, continuo a sciogliermi, continuo a perdermi, sempre più confuso, sempre più irritato.
Lei nulla nota , lei  nulla vede, eppur sente;  è tutto un bruciare.
Fuoco, senza fiamme, non c’è guerra più sublime d’una campagna militare che muova alle spalle d’un incerto nemico, circuendolo t’inoltri, insidiando le sue carni, strappando morsi aggiungi amore,
un dolore irrinunciabile, un gioco accattivante, quasi perdi la lingua mentre ti lecca il cranio.
Un’elisione spontanea, nata dal nulla, giuocata senza  criterio, senza regole, ecco,
solo un tu ed io e tanti dubbi, insignificanti, come  un pensiero, solo, più fisico, ed in tutto quel mentre
quasi dimenticavo chi fosse la parte passiva, quasi scordavo chi e cosa fosse.
Anelava piano e stanca, affaticata dalla foga del Corpo,
povera Anima, fosse stata d’un altro l’avrei capito,
ma, ahimè, era mia.

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28
Apr
2011

di luoghi lasciati alle spalle eccetera eccetera.

che poi in Calabria non abbiamo altro che mare e sogni e un filosofomatematico morto da qualche lustro

che non potresti neanche ricordare il nome dell’ultimo luogo arido che hai visto

che la gente sorride e urla e ti sembra di essere in un paese del secondo dopoguerra, immobile nei suoi pregiudizi, nelle sue scale sociali più o meno relative

che il sapore del mare resta sulla pelle e non va via.

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27
Apr
2011

seasons in the sun

Senza speranza. Senza speranza e peggio ancora. Peggio? Sì, sì. Peggio di così. Se guardava avanti vedeva le poche ore che aveva ancora per farsi girare il sangue addosso, e poi più niente. Misurava il suo tempo in chilometri, si diceva: a Trieste, arrivo; a Trieste sì e no. E pensare che Trieste non l’aveva mai vista.
Se fosse partita in quel momento, per Trieste… ?
Un barlume. Speranza? No, no. Speranza no. Eccolo lì il barlume. È mattina. Il barlume è fuori dalla finestra. Quello che prima era stato il giorno, ora era un barlume. E quello che era stato un barlume ora era fumo. Fumo? No, nemmeno quello. Nemmeno fastidio.
Una palla di fuoco, era il barlume. E bruciava il tempo che non aveva forse mai avuto, almeno non fuori dalla pelle. Attimi di canzoni ripetute – i più inutili, forse i migliori. Chi lo sa. Vorrebbe guardarsi le vene e i tendini delle mani ma vede solo le sue cataratte – e un barlume. Si ricorda di quel suo amico che indicava le vecchie dicendo – quella lì ha già un piede nella fossa. La fossa. Se lo immagina zoppicare in una cunetta; della gioventù solo la barba, ma bianca, e crespa, e secca. Occasioni sprecate.
Vecchia. Secca. Stecca. Sigarette. Richiama il sapore. Le piacevano? Mah. Il gusto che avevano non era in bocca, nè nei polmoni. Era tutto nella testa. La testa! La testa o il barlume? Doveva decidere. E gli uccelli. Gli uccelli. Una volta ha sentito cinguettare e si è girata verso l’albero ed è riuscita a vederlo, in lontananza, nei rami, e si è sempre chiesta se era un usignolo, ma ogni volta che avrebbe potuto controllare aveva altro a cui pensare – che lo spazio degli uccelli è fuori, fuori, fuori. Nel cielo. Come lanciati. Come un pallone. Calciati. Calciati in alto dalla fame. Cacciati. Cacciati in basso per la fame. La fama. La trama. Trema. Trema. Non ha più tutto quel sangue. Fa freddo adesso. E poi? ..È il momento..?! No, no. È solo un, momento. Ma passa.
E quindi testa. Preferire testa alla croce. Che la croce poi arriva. Ma adesso testa. E quindi ciao barlume. Ciao uccelli. Non dice che ha chiuso con loro ma è la verità. Ha vissuto una vita per i ricordi, ora vive lì dentro, pensa quello che non può più fare, quello che faceva senza sapere, quello a cui non sapeva pensare prima di farlo. Adesso sa il massimo che può sapere, forse anche meno, che le cose poco importanti sono andate via; e forse anche qualche nome, qualche vecchio parente; e sotto i vent’anni si chiamano tutti uguali. E questa passione per gli animali da tenere in casa come degli scomunicati. Nella sua testa però non è così chiaro. Ormai sono solo emozioni che vibrano sottopelle come la luce. La sua pelle è di cartapesta e le sue vene brillano di blu. È trasparente, fatta d’aria. Ossa di ceramica. Pupille di vetro. Fragile. Frigida. Un piede addormentato e un piede nella fossa.
È maggio e il giardino non ha mai avuto tanti fiori.

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23
Apr
2011

sic volvere Parcas

lo stame della vita ci avviluppa e ci soffoca

impariamo a conservare la nostra anima nella paraffina per non decomporci

che se anche ci tagliassero a pezzetti non resterebbe che sangue sparso

e terra bruciata tutta uguale a se stessa.

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22
Apr
2011

come la sua camicetta blu

Giulia continua
ad accarezzare la superficie
del mare che ora è pece

il cielo è aperto come
la sua camicetta
blu ma non c’è luce

il vento è spento
ed non so come
queste ore smuove

ma non l’istante
quando sfugge
ancora mi sconvolge

il nero che ci avvolge
è confortante
mi distoglie

dalla voglia di piangere
se c’è distante
vita in una rondine

Giulia non si accorge
sapessi volare
sarebbe solo inutile

potrei forse sorreggere
l’ego mio fragile
le sue memorie vivide

deciderei di vivere
ok sopravvivere
ed ogni superba voglia

fuggendo nella notte
verso l’alba
mentre Giulia dorme

sperando che il tempo
non la dimentichi
regalandole quell’onde

che oggi rimpiango
ma che intanto
decisi di perdere

per cercare un largo
che senza fremere
ci continua ad uccidere.

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07
Apr
2011

still life

E sì che Julia faceva sport, ma lo sport non è mica come nella realtà, nello sport corri per dimagrire, mica per correre. Così tutto quello che hai dentro te lo tieni dentro, ma c’è sempre meno spazio dentro di te. E anche se ti sembra che ci siano meno cose, la verità è che ci sono sempre più cose in uno spazio sempre più piccino, in una coscienza sempre più castigata, incastrate come cibo tra i denti, nella fessura troppo stretta dei tuoi vestiti tra le facciate troppo larghe dei tuoi punti di vista.
Così alla fine quello che Julia aveva dentro da più tempo era marcito sul fondo, e, a dirla in breve, il suo cuore era ora una cancrena pulsante che non vedeva l’ora di scoppiare. O almeno così l’ho intesa io, e perciò non sono rimasta affatto sorpresa, quando a un certo punto Julia ha preso una bottiglia di salsa fatta in casa e gliel’ha spaccata in testa. Non che quel giorno ci fossero più ragioni di un altro giorno. Il fatto è che ogni giorno c’erano sempre meno ragioni e sempre più voglia. Julia era a metà tra lo spegnersi e lo svampare. E così, quando Julia la vide a terra, tra sangue e salsa, fu colta da una morsa allo stomaco che forse voleva essere nausea ma che lei scambiò per rabbia, e allora Julia prese a spezzarle tutto quello che era a portata di un calcio ben assesstato, di un pugno, di un colpo qualsiasi. Quando Julia si risollevò era perfettamente cosciente che ormai quella là era crepata. Ma forse perfettamente cosciente è l’espressione peggiore che potessi usare. Diciamo che Julia sapeva che quella là non campava più, che non respirava più, e che non si sarebbe mai più alzata. E quando togli la vita a qualcuno, forse, la morte diventa solo questo. Le speranze infrante e il dolore dell’abbandono, subito dopo la morte, spariscono: sono cose della vita, e con la vita vanno via.
Julia invece non è che fosse proprio in gran salute, specie per certe strane manie che erano tornate ad azzannarle il collo; ma tuttavia no, non si poteva lamentare: era ancora in piedi, e se non proprio nel fiore della gioventù, quantomeno nella parte più autonoma dell’esistenza.
Era primavera e tutto era tornato alla vita. Beh, tranne quella là, morta a terra.
E a Julia un tempo era piaciuta, la primavera. Un tempo Julia non vedeva l’ora di raccogliere le ciliegie, e guardava i tappeti di petali rosa sulla strada con una melanconica angoscia, che le era anche quella rimasta dentro.
Julia attraversò il corridoio e inspirò a fondo. In quella casa, la vita era passata così in fretta, con così tanta indifferenza, che l’aveva lasciata quasi vergine, intonsa dalle lame della routine e delle piccole gioie e tragedie domestiche.
La vita di Julia era stata un buco nello spazio, in cui il tempo scendeva goccia a goccia. Una vita che non sporcava nulla, al massimo consumava i soliti quattro stracci che Julia portava distrattamente addosso: ma solo perchè vivevano con lei, solo perchè stridevano contro l’aria e contro gli anni.
Così, respirando a fondo in questa ritrovata libertà, sentì ancora l’odore di quando la vita solitaria era una vacanza e non un eremo. L’aria afosa che si respirava a giugno, mentre lei alle soglie della vita guardava scocciata fuori da una finestra di quella stessa casa – non già così estranea -, impaziente di poter uscire, fare, conoscere. Quell’aria l’aveva ancora dentro nei polmoni, perchè era così viva lei allora, così speranzosa, che respirava per davvero. E Julia ora sentiva quell’odore, l’odore di quel posto, di quella casa, di quelle estati, di quelle speranze. Uscì in balcone, i merli si chiamavano dagli alberi bianchi. Il sole la investì in pieno, e lei chiuse gli occhi. Sentiva il calore sulla pelle, e le vene, e le ansie nella pancia. Sentiva la vita. Sentiva la città. E quelle vecchie speranze che stranamente non puzzavano di carogna.

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04
Apr
2011

Ancora!?

Ed è così che impastano il cemento, col sabbione, sbattendo la cazzuola nel secchiello,
un quartino d’acqua e parsimonia, mentre il cielo ci crolla addosso
Atlante si siede rassegnato. Non è la terra ad uccidere l’uomo né il suo raffreddore,
nulla conta la natura, pressoché inesistente la sua volontà,
un Leopardi solo piange le sue rachitiche spalle, la sua cecità, morrà piangendo;
quanto Egli dista dall’uomo, e quant’altri ne emulano il minuto orgoglio, stupiti da una quasi ritrovata dignità lasciata alla retorica d’un fiore sbocciato alle pendici d’un qualunque vulcano del mondo.
<<Vedo giganti>> questo diceva il saggio Omero, iscrivendo alla memoria dei posteri circa un antico viaggio degno solo d’un uomo. Quanti pericoli incontra chi s’avventa in mare, ad ogni miglio dalla costa nuove creature s’eclissano nei sotterfugi d’un onda, ti seguono, aspettando il propizio momento.
V’è più d’un uomo su quel barcone, questo dovete dire ad Omero, v’è più d’un Dio a guardarlo partire, è l’umanità intera a guardare, a piangere, i suoi naufraghi risucchiati dagli ingorghi del vasto mare.
E sulla terra ferma!? Chi nutre le nostre speranze!?
Forse una manica di proci!?
Eccoli pronti ad usurpare un trono, a muovere guerra e con libertaria enfasi s’armano di morti già beatamente santificati, moriran dunque martiri, a due minuti dal collasso nucleare i nostri fidi Proci già pensano in petrolio, piazzati come tante piccole Cortigiane a battere la terra, vendendosi a pochi,  vendere la vita, lasciando a  noi la morte.
Ma Odisseo guarda alle stelle, procedere piano, sfida gli dei, s’avvale d’ingegno, misura gli uomini, s’arroga il diritto di dissentire, s’illude che al mondo esista qualcosa fuori dalla portata degli dei, che sfugga al loro controllo. Egli non è uno strumento, egli non serve nessuno, è un naufrago, ma ve ne sono a millanta, che su esili imbarcazioni affrontano l’eterno mare, spezzando in due le acque, abbattono muri, muovono su ali di cera, incatenati, sventrati dagli avvoltoi, cercano fuoco, bevono cicuta, immolando il proprio sangue offrono le loro vene al sovrano che lo esige, ricordando così al popolo che esiste l’uomo ed esiste, anche, la cattiveria di un Re.
All’unanimità oggi, Il regno Italico muove guerra ad  altro stato, l’opposizione concorda, non tutta, pochi restano fuori. Tutto avviene così in fretta, sembra quasi inarrestabile è come una misteriosa forza, ne avverti il peso, ma non la tocchi, non puoi fermarla, così dicono. La guerra è inevitabile, la guerra è giusta, siete dunque favorevoli!?
è strano come tutto questo ricordi in me un talaltro evento,  che vide il Cristo d’un certo Dio ucciso attraverso una certa votazione, avvenuta per mezzo di semplici uomini, con il tacito assenso della autorità, per semplice e genuina acclamazione popolare.
L’unanimità dunque, avete memoria forse d’uno  strumento più crudele!?

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