17
Lug
2013

Velluto blu (parte I)

tra tutto quello che aveva lasciato sul cuscino

oltre alle sbavature del mascara, ai grovigli di capelli, alle ciglia cadute per il lutto del risveglio,

c’era anche fermo, a boccheggiare, un cuore ancora caldo e turgido.

Gemma aveva la memoria offuscata da velluto blu, lo stesso velluto del vestito della donna nel film di Lynch, non sapeva che ora fosse o dove si trovasse, ma riconosceva la stanza in cui si era svegliata, una familiare accozzaglia di colori. Pensava all’ultima cosa di cui aveva memoria, ma le sembrava che fosse lontanissima nel tempo, come un ricordo d’infanzia che è più rumore che spazio, che si perde tra le cose accadute e riaffiora con un odore, un gesto.

Nella stanza c’era una grande finestra con le imposte bianche, non sentiva nessun rumore venire da fuori, doveva essere in campagna. Qual era l’ultima cosa che aveva fatto prima di andare a dormire? Bere un bicchiere di latte freddo, forse, aveva in testa una gran confusione. La stanza profumava di oleandro, riusciva appena a  percepire il battito del suo cuore, le sembrava fosse irregolare.

D’un tratto sentì dei passi nel corridoio, si facevano sempre più vicini, erano passi di uomo, lenti, forti, passi di chi non torna indietro.

I passi si fermarono, sentì il cigolio della porta di legno che si apriva muovendo un vuoto d’aria, poi il viso di un uomo.  “Gemma”, le disse “dobbiamo andare.”, e si avvicinò al letto su cui era steso, tremante, il suo corpo.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 6.0/10 (1 voto espresso)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
03
Mag
2013

Chi si credono di essere gli intellettuali!?

Quanto tempo riesci a contenere in un ora.
Il passato è lontano ma esiste; allora cosa ti porti dietro?
Cosa scegli di portarti.
L’anima è liquida, mi suda addosso.
Il distacco e….l’avvicinamento come soluzione?
In che verso andare; l’alto o il basso? Vincere!? Contro chi? Non so.
La colpa e i colpevoli, come se esistessero davvero, piccoli e modesti peccatori… gli egoisti, quello che possono, fanno. Deboli e teneri loro.
Come lasciarsi ferire da gente così?
Ed ora l’intellettuale di turno mi osserva. Già lo odio, lui come un albero, sua formica io, e mi fa – vuolsi così colà ciò che si puote come si vuole- ed io capisco, ma non accetto. Così dal monte l’uomo scende e chiama: dice – Io voglio, senza metro,……..il parto…… di una stella che…. …danzi-. ha la bocca cementata così molti ridono di lui mentre mi mette in guardia da un certo drago che tutti vedono tranne il sottoscritto. Difficile,
così col sole riscopro l’alessandrino del millenovecento, una vita spesa a spezzare lance in mio favore- Né i lestrigoni né ciclopi incontrerai, se non te li porti dentro, se l’animo non te li mette contro…
l’animo…
con questo concetto rischio una sorta di avvitamento emotivo. Stupefacente!!!!
Bacco sorride alla mia ingenuità.
Caro Apollo, avrei dovuto assecondarti e invece ho raccolto la tua antipatia, poi l’ho fatta mia. Agamennone è uno sbruffone.
Fosse stato a Waterlloo avrebbe perso anche lui,
Ora in preda al suo cinismo Napoleone sfinisce a morte Macchiavelli, si rimproverano ambedue i loro vizzi.
Egocentrico, taccia gli altri ragazzi alla pari il De Medici all’apice della sua frustrazione; con le loro commedie fanno la storia……misera. Del domani è la sola cosa certa.
Sanno giocare a schacchi i generali, ma perdono a carte ed è sempre lo stesso zingaro a fargli le scarpe.
Questo la storia non lo dice, né tantomeno dice che il 25 ero a Montesole, a ricordare la resistenza. ché ci sono arrivato con una costoletta di figli di nessuno “per ora”, zingari, e abbiamo “guadato” il Reno per due chilometri e mezzo, altro fiume al fiume, poi montagne, e calchi di rocce, e sassi, e fango, terra! Poi Sole, vino, freddo e notte. Così ti ho pensato, ma questo nessuno lo sa.
Non diranno che un tempo ci siamo incrociati, né che la luna era più grande che mai in questi giorni, semplicemente ricorderanno una certa eclissi.
Non sapranno mai che ci siamo incontrati.
Semplicemente, noteranno una certa alchimia tra me e il cielo, tra me e il mare…nessuna spiegazione per loro. Essi immagineranno esattamente come Manzoni i nostri ultimi giorni.
Ecco, è questo, l’indicibile. Ciò che vive di sé.
Odio Goethe, i suoi dolori molesti e infantili mi stressano, e Seneca, così ubbidiente alla rassegnazione, amo Lucrezio, la sua indecenza e a furia di leggerlo un giorno gli ho chiesto di sposarmi… e fu sorridendo che mi disse che a un morto l’amore non porta quel che conta…
cercala tra i vivi la vita, ripeteva.
Ed ora che ho allungato i miei capelli, ho segnato la mia mano e mi sono promesso il vivo, ed è  da un po’ di tempo a questa parte, che
quando penso al tempo, lo immagino come una sovrapposizione di diverse linee x, x’, x”, x”’: sono persone, momenti, fatti, che, da persone serie quali siamo io e te, lettore, teniamo a mente e  fanno di noi ciò che siamo.
Ci rendono forti.
Quindi non stupirti quando col sorriso ti strizzo l’occhio!

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 8.3/10 (3 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
26
Mar
2013

Smeraldo.

Il verde dei suoi occhi contagiava gli alberi di primavera, era una sorta di condanna, nessuno che le fosse accanto poteva nascondere la sensazione di leggerezza che dava il suo sorriso. Aveva vissuto per anni nascosta in giardino, badava alla vecchia zia che era l’ unica familiare sopravvissuta all’incidente del bosco, usciva raramente a farsi bagnare dal sole, la sua pelle rifletteva i raggi come fosse d’oro, accecava gli insetti di luce. Il giono del grande freddo si era affacciata alla finestra e un vecchio che passava di là spingendo le provviste del giorno, vedendo da lontano quel bagliore intenso, d’improvviso cadde a terra svenuto. Quando si svegliò, ancora stordito  e circondato dal brulicare delle voci, il vecchio indicò il punto luminoso in lontananza e venti uomini corsero in quella direzione. Catturata che fu la ragazza, spogliata di ogni colore, privata degli occhi, squartata, ormai spenta, il vecchio raccolse le provviste, riprese a camminare e pensò che nel paese della malinconia, ogni luce è reato.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 7.0/10 (1 voto espresso)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
18
Mar
2013

Il sottoscritto

Quello che mi fate rimpiangere,
il non avere fatto da me.
Mi fate rimpiangere di non aver mai lanciato una bottiglia, il mio educato contegno,
quello che mi fate rimpiangere è di non essere stato mai il primo a cadere.
Un metodo criminale sa trascinare nel fango,
ebbene,
quello che mi fate rimpiangere è di avervi seguito
quando invece avrei dovuto andare.
È sempre e soltanto la solita parte
quella che alimento
l’uomo garbato e il suo buonsenso.
La mia ingenuità è la stessa di chi alza un estintore,
respira ancora dopo essere caduto da nove metri
si difende dallo stato che anche sul traliccio elettrico
vuole venirgli a raccontare la sua democratica soluzione,
una mattanza di scimmie che, ridono, corrono, scorrono, cibandosi e intanto
stuprandosi i nostri concetti etici.

Schernisce il mio amore chi non sa che fare.

Io intanto
in questo mondo limitato,  ho inseguito un sogno
quando ho incontrato l’autorità competente.
Non credo di piacerle.
Però ch’é buffo,
a vederlo ha l’aspetto di un un goffo e pigro persiano,
il potere,
che ci guarda e si lecca i baffi,
così penso
perché non invadiamo l’Aventino?
Una volta occupato non sapremo che farci,
ma almeno avremo qualcosa da raccontare finalmente anche noi
a tutti quei pezzenti che ci chiedono spicci per strada,

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 8.5/10 (2 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: +2 (su 2 click)
18
Feb
2013

(9)

Non permetterò che il sole entri.
Non permetterò che la giornata inizi.
Tiro le coperte, pesanti, fin sulla mia testa. Buio.
Caldo.
Incrocio le braccia sul petto. Tiro su le ginocchia. Chiudo gli occhi.
Respiro.
Penso a quando ogni mio battito era fonte di meraviglia. Penso a quando i miei occhi aperti erano fonte di meraviglia. Penso a quando ogni mio movimento casuale o voluto, era percepito con stupore e comunicato al mondo. Penso a quando ogni mio centimetro era importante, ogni mia proporzione era un sollievo. Penso a quando ero solo un sacchetto di cellule e di promesse. A quando ogni istante si sperava
che io vivessi.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 0.0/10 (0 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
17
Feb
2013

spiragli

– Non sento niente.
– Niente?
– No.
– Prova a spingere più in basso.
Niente?
– No.

La ragazza dai capelli rossi guardava indifferente una foto che aveva in mano. Con l’altra mano teneva sollevata a stento la cornetta di un telefono di fine anni ’90, di quelli squadrati con i tasti per i numeri e il filo a ricciolo. Era seduta su un letto verde acido, col cuscino azzurro ancora scoperto, e le lenzuola sistemate alla ben e meglio. Sul comodino e i muri intorno, un discreto numero di oggetti di cui non le importava più. Una sveglia di pelouche maculata e orecchiuta ticchettava sterile. Il lettore multimediale del pc era in play, ma le casse erano spente. Una linea elettrica monitorava l’andamento di una canzone rispettosamente muta.
La ragazza dai capelli rossi era scocciata. La sua voce era spenta. Una gamba dondolava avanti e indietro, l’altra era incrociata sotto il sedere. Le sue calze erano nere, rigate di tanto in tanto da un bordeaux sbiadito. Cominciò a sventolare la foto, guardandole attraverso. Dall’altro capo del telefono qualcuno faceva delle domande, qualcuno autoritario, qualcuno professionalmente indifferente e responsabilmente preoccupato. Lei si toglieva questo dente, rispondendo a monosillabi. Ultimamente leggeva molto. Non aveva grande fantasia nel creare una sua vita, così ne leggeva delle altre. Leggeva di posti e di modi di essere. Leggeva di sentimenti e coincidenze, spesso improbabili, spesso banali. Non cercava il riscontro nella quotidianità, non era quel tipo di idiota. Non stava fuggendo da niente. “È che non ho voglia”, aveva provato a spiegare all’inizio. Ma a poco era servito. D’altronde, vivere a carico di qualcun altro non può essere davvero gratis. E allora si toglieva questo dente.
Guardava anche i cortometraggi in bianco e nero sulla Rai, alle quattro del mattino. “Cosa ti svegli a fare alle 4 del mattino, se non fai un cazzo tutto il giorno?”, sbottava sua madre, quando se ne accorgeva. “Cosa mi sveglio a fare, se non faccio un cazzo tutto il giorno?”.
Era una ragazza sveglia. Dopo un quarto d’ora chiuse il telefono con spossata gentilezza. Mise giù il ricevitore come se pesasse cento chili. Si sdraiò a pancia in su. Pensò: “Non sento niente”. “Prova più in basso”, si disse. Pensò: “Non sento niente”.
Lanciò uno sguardo al libro aperto ai piedi del letto. Non corrisposto. Andò in bagno a spazzolarsi i capelli. Si fissò negli occhi per sei minuti circa. Tornò in camera e accese le casse, volume medio, accettabile. Bassi medi, accettabili. Tornò in bagno, si piegò sul water e vomitò. Tirò lo scarico e si lavò i denti. Si fissò negli occhi per circa quattro minuti. Per fortuna aveva il bagno in camera. Certi eventi fisiologici sono imprevedibili.
Andò verso il letto, prese la foto. Nella cornice bianca c’era una ragazza, una ragazza coi capelli rossi. La guardò negli occhi per un minuto e mezzo, circa. Girò la foto: “Ricordami.”, scrisse. Aprì il cassetto sotto la scrivania, tirò fuori il suo diario, lo aprì e cercò l’ultima pagina; poi afferrò un pennarello viola e scrisse la data in alto a sinistra.
Infilò la foto tra quelle pagine, mise a posto il diario e richiuse il cassetto.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 6.0/10 (1 voto espresso)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
04
Gen
2013

A Te che vai nel Mondo: Delle origini della mia energia

Per chi sono le mie parole…
per loro sono: gli spiriti liberi,
a loro arriveranno come un atto d’amore.
Sapranno sentirle, dosarle,
ascoltarle, poi utilizzarle e ricorrervi
come un rifugio, un riparo,
quando verrà il freddo della solitudine,
il vuoto,
quell’assenza che chi solo sa conosce.
Ad essi la mia speranza, ad essi la mia solidità;
continuate!!!
Andate, avanti, sempre, anche nel digiuno, anche nell’amaro,
anche nella vostra sola compagnia
sulla via che avete scelto,
intrapreso,
con amore.
Le mie parole:
per chi non ha padroni e per padrone intendo
neanche sé stesso,
così da non detestare la sua sola compagnia.
Per chi trova il piacere di ravvivare una fiamma,
sostare…
e lasciarsi scaldare.
Ad essi do il mio cuore
perché mi nutrono,
così li lascio nutrire
e nutrirsi di me.

*
Ora andate…
O farete tardi!

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 7.0/10 (1 voto espresso)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: +1 (su 1 click)
17
Nov
2012

Saturnismo.

Del tuo nome non resterá ricordo. Delle tue debolezze, del tuo modo di ridere, del rumore che fai quando scendi le scale, non ci sará memoria. Non sapranno neanche dire se eri alto o basso, parleranno di te come se fossi emigrato in America e non avessero tue notizie da decenni. Cambieranno il colore della tua casa, la disposizione dei mobili, non penseranno a cosa avresti voluto. Non piangeranno, vedranno ogni tua traccia affievolirsi e celebreranno il tempo che passa. Vivranno con cuori di piombo, li riempiranno di vino aspettando che nascano fiori. Non avranno memoria dei vinti, sapranno che la violenza é stata necessaria. Saranno la razza nuova, li vedremo maestosi sopra di noi e verseremo le utlime lacrime, poi il Sole si spegnerá e scopriremo cosa vuol dire estinguersi.

 

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 9.0/10 (1 voto espresso)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: +1 (su 1 click)
13
Ott
2012

Zona Manifattura e Tabacchi

A coprirle i capelli un fazzoletto chiaro, un abito lungo seguiva senza mostrarne il corpo. Scendeva delicato, come il Reno su Bologna, a vestire il suo quartiere: Lame. Viveva del Savena il fossato, deviato a San Ruffillo dalla chiusa. Riesco a contare centodiciannove mulini mossi dalle sue acque. Ancora, l’immagine di questa donna che torna, due operai l’aspettano all’uscita della fabbrica, le buttano acqua ai piedi. La carmencita petroniana tira su di quattro dita il suo abito. Mostra così le caviglie: ride… dei due ingenui ché arrossiscono nel guardarle. Ride di noi la storia , questo raccontare finalizzato, organico, dove tutto si intreccia e ruota attorno a grandi nomi, figure simbolo di un epoca… simboli del potere, il quale si racconta, così ordinato, così legittimo. Estetico. Si giustifica, si incorona riducendo la stessa storia ad un concatenarsi di guerre ed omicidi, un rapporto tra cause ed effetti, interrotta da qualche breve parentesi di scienza e di ragionevole, educata, innovazione. Umano, troppo umano. Quasi deludente. Memoria del passato, memoria del presente, di luoghi, associazioni, immagini e sensazioni come ingressi sporadici al sentiero del ricordo non vissuto. Collettivo. Memoria di vita, di strade, di case, quando ancora il via vai dei lavoratori tranquillizzava il passante. La strada, viva, era sicura. Diranno di aver coperto i canali perché non servivano più. Al loro posto mostre fotografiche, quadretti, disegnini che ricordano quanto erano graziosi quei rivoli sdraiati tra le vie della città. Sotterrati come cadaveri. La Manifattura poi spostata su via Ferrarese, nella Bolognina, oggigiorno chiusa, ospita figli di nessuno, gente dimenticata da tutti tranne che dal freddo. Scavalca i luoghi dell’abbandono la miseria, e lì si sdraia, cercando riparo, riposo, nella notte. Trovo ironico come i suoi muri siano soliti diventare simbolo degli ultimi d’ogni epoca. Scorro qualche titolo di vecchie testate giornalistiche, ci vedo, al di là dei titoli, l’attaccamento al lavoro d’una classe operaia unita nello sciopero, che andava traducendosi in un attaccamento al territorio, nell’esigenza di una sua tutela. Lavoratori come nomadi durante gli sgomberi dei gendarmi. Ora in Via Riva Reno del Mulino resta una cineteca, il Lumiere, mentre del forno del pane un museo, il Mambo. L’hanno chiamata la Manifattura Delle Arti, una bella cosa, ma …in Via Ferrarese, quando arriva l’Estate, dai palazzi di Via Otello Bonvicini è possibile guardare dentro e oltre il muro di cinta della nuova ex tabaccheria in disuso, e vederle vivere queste persone, fatte di carne ed ossa, un miscuglio di etnie accomunate tutte dalla povertà. La storia delle grandi guerre si dimentica di loro. Li sento urlare, ridere, a volte gridare nel gioco. Si svegliano sul tetto di catrame della fabbrica, illuminati dal sole, sdraiati alla brezza della sera, dormono lì. Spesso mi fermo ad osservarli. Così la vedo, questa ex tabaccheria vivere di loro, silenziosa, nei suoi intonaci, scettica nei suoi binari, in disuso, interrotti. Ferma. Misura il tempo e questo nostro scorrere insieme.

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 9.0/10 (1 voto espresso)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: 0 (su 0 click)
11
Set
2012

Alla notte

Alla notte
Tetto d’un fienile e come paglia  sparsa a terra noi
colpa
il movimento non pensato
né cercato

Fuoco dentro
grattando il fondo dell’essenza sciogliersi
in questo nostro divenire oltre la soglia del taciuto insieme
vicini
nel mentre della nostra fiera esistenza

Vivere
teatrino quotidiano di mercanti e di parole
un ricordare vago
impreciso
essi

dimenticheranno

che sei venuta a ricordarmi il sottostante
il ciò che era al di là del cosa è stato

soltanto bruciando
e nuovamente atterriti
daremo colpa alla notte


sperando
in questa notte


poi nell’alba

VN:R_U [1.9.10_1130]
Valutazione degli autori: 0.0/10 (0 voti espressi)
VN:F [1.9.10_1130]
Gradimento: +3 (su 3 click)